CENTOTORRI, SFOGLIA LA RIVISTA – Vittone a Chieri: l’Orfanotrofio femminile  e la Villa Cipresso

di Antonio Mignozzetti

L’Orfanotrofio femminile (1744)

Nel 1947, lo studioso Carlo Brayda così raccontava la ricostruzione, ad opera di Bernardo Vittone,  dell’Orfanotrofio femminile di Chieri, fondato dopo la peste del 1630:“Verso il 1744 fu eretto, su progetto del Vittone, il Collegio e la Chiesa delle Orfanelle. L’Orfanotrofio, che era stato fondato dal nobile mercante chierese Giovanni Montuto nel 1639 in seguito alla peste del 1630, aveva avuto una prima sede in una casa dell’Ospedale dell’Annunziata e una modesta cappella. Il Vittone eresse l’attuale edificio a due piani, unito ad una chiesa posta d’angolo a sinistra. La costruzione è semplicissima, a mattoni in vista, e anche la chiesa non presenta caratteri speciali. Il disegno è conservato nell’archivio dell’orfanotrofio”. Al suo articolo il Brayda allega i due disegni, con tutta evidenza firmati dal Vittone, oggi scomparsi. Lo studioso sembra voler attribuire al Vittone anche la chiesa. Il che non è esatto: questa si deve a Giovanni Antonio Sevalle ed è anteriore all’intervento vittoniano. Vittone progettò un edificio a due piani fuori terra costituito  da due ali ad L. Un ampio scalone a tre rampe collega i due piani dell’edificio. Un’opera molto semplice, nella quale le esigenze pratiche hanno la meglio su quelle della fantasia. Nel Novecento è stata aggiunta una terza ala, che la trasforma in un edificio ad U.

 

La Villa “Cipresso” (1750). 

Si tratta di una villa situata nei pressi di Chieri, all’inizio della strada per Superga. Se ne ha notizia dall’inizio del Settecento, quando era una semplice cascina. Verso la metà di quel secolo la famiglia Martin la trasformò in un semplice ma elegante edificio a tre piani, fiancheggiato sulla sinistra da una cappella che forse ne sostituiva una più antica.

Non ci sono pervenuti documenti dai quali si possa con certezza risalire alla data esatta di costruzione e al nome dell’autore, o degli autori, anche se è opinione comune che almeno la cappella sia da attribuire a Bernardo Vittone. Si tratta di un piccolo ambiente a pianta circolare, diviso  in quattro settori da lesene. Su queste impostano altrettanti archi che incorniciano il presbiterio con l’unico altare, l’ingresso e due nicchie. Sugli archi insiste la cupola divisa in quattro spicchi da costoloni e culminante con la lanterna. Il piccolo ambiente è impreziosito dalla luce che entra abbondante dalle numerose aperture e grazie agli stucchi delle cornici, della volta e dei capitelli.  La facciata, convessa e incorniciata da lesene, culmina in un timpano spezzato. Il portale d’ingresso è decorato da una cornice in stucco e sormontato da un grande oculo che invade parte del timpano. In secondo piano, dietro la facciata, compare il tamburo che incorpora la cupola e dal quale emerge la lanterna.

Al  Vittone Guido Vanetti attribuisce anche la villa: “Alla morte di Pietro Enrico (Martin, ndr), avvenuta nel 1753, la villa fu ereditata dal figlio primogenito, Melchiorre, che la trasformò radicalmente, avvalendosi dell’opera di Bernardo Vittone. Risalgono a questa fase il corpo centrale a tre piani, la cappella (collegata al primo da un portico), il parco e i quattro cancelli d’ingresso…”. Prima di lui anche Eugenio Olivero (1920) era stato della stessa opinione.

Nell’Ottocento il conte Francesco Saverio Morelli, che ne era diventato proprietario, diede alla villa l’aspetto odierno: aggiunse le due ali laterali, la torretta che sovrasta il corpo centrale e, per ragioni di simmetria, il padiglione di destra, detto “Turco”, dalla forma simile a quella della cappella. Oggi la villa è trasformata in condominio.