CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – S.O.S. ARTE CHIERI. Opere d’arte da salvare. ‘600, belli e malandati al Giovanni XXIII

di Antonio Mignozzetti

Non si può dire che negli ultimi decenni non sia stato fatto nulla per salvare il patrimonio artistico chierese. Iniziati negli anni Cinquanta del Novecento, non sono mai terminati i restauri nel Duomo e nelle altre chiese della città, come San Bernardino, San Domenico, l’Annunziata, San Giorgio, San Leonardo e nei più importanti  edifici storici, come il palazzo Valfrè, i palazzi Tana e Bruni, il ghetto. Anche se meno appariscenti, sono stati innumerevoli gli interventi su opere minori: basti pensare ai quadri sei-settecenteschi delle cappelle del Duomo restaurati in serie negli ultimi decenni del Novecento; alla quattrocentesca statua lignea di San Giacomo nella chiesa di San Bernardino; a quella di San Giorgio nella chiesa omonima;  al Crocifisso e al coro lignei del Duomo; al soffitto  ligneo del palazzo Ceppi. Ma proprio sul fronte delle opere minori e meno appariscenti riteniamo ci sia ancora molto da fare. Con questa rubrica,   Centotorri intende richiamare l’attenzione su alcune di esse. A cominciare da due grandi quadri seicenteschi molto malandati, appartenenti alla Casa di Riposo  Giovanni XXIII e conservati nei locali attigui alla cappella. Misurano cm 250 x 180 e raffigurano rispettivamente Gesù condotto al Calvario e Sant’Andrea condotto al martirio. Nel primo, il centro della scena è occupato da Gesù che cade sotto il peso della croce. Un energumeno gli sta davanti e cerca di farlo rialzare; un altro, da dietro, lo aiuta a sostenere la croce. Le pie donne lo compiangono. Soldati a piedi e a cavallo lo scortano. In lontananza, in cima al monte, in mezzo ad una chiazza di luce, si vedono le due croci dei ladroni alle quali a breve si unirà la sua. L’altro quadro segue lo stesso schema: al centro, l’Apostolo Andrea, mentre viene condotto al supplizio, cade in ginocchio vedendo in lontananza, in cima al monte, la croce sulla quale sarà inchiodato. Davanti a lui un aguzzino lo strattona per farlo procedere; alle sue spalle, un altro gli solleva il mantello per facilitargli i movimenti; pie donne compiangono; attorno, soldati a piedi e a cavallo; sullo sfondo, un cielo carico di nubi a sottolineare la tragicità dell’avvenimento. Due opere probabilmente dovute allo stesso pennello di scuola romana. Due quadri gemelli, che si richiamano l’un l’altro non solo per il soggetto ma perché le due scene vi sono raffigurate con lo stesso identico schema. Probabilmente si fronteggiavano in qualche cappella patrizia a noi sconosciuta e sono giunti per via di eredità all’ex Ospizio di Carità. E mentre il primo è probabilmente un dipinto originale, il secondo è la copia di un affresco eseguito da Guido Reni per la cappella di Sant’Andrea nella chiesa di San Gregorio al Celio di Roma. Si tratta, comunque, di quadri dalla buona tecnica. Un accurato restauro, oltre a rivalutarli, potrebbe riservare qualche sorpresa nell’individuazione dell’autore.