CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – Due edicole sacre in pericolo: sono attribuite  al Moncalvo…

Sono in Vicolo Mozzo dell’Annunziata e in Via Tana

di Antonio Mignozzetti

Nei numeri degli ultimi mesi Centotorri, con una apposita rubrica, sta passando in rassegna i “piloni” e le edicole sacre in genere che costellano il territorio chierese, con lo scopo di risvegliare l’attenzione su  questo ricchissimo patrimonio di storia e di fede.  Con un’altra rubrica, dal titolo SOS ARTE CHIERI, sta esponendo una serie di opere d’ “arte minore” (dipinti e statue) che versano in condizioni di grave degrado e rischiano di scomparire se non vengono immediatamente restaurate. Facendo un’eccezione, sul questo numero le due rubriche vengono fuse in una sola, e  con ragione. Infatti, le due edicole delle quali abbiamo deciso di parlare sono allo stesso tempo importanti opere d’arte, trattandosi di due affreschi attribuiti nientedimeno che al pittore Guglielmo Caccia detto il Moncalvo. Due dipinti eseguiti dal pittore manierista  all’inizio del Seicento, negli anni in cui lavorava a Torino collaborando con Federico Zuccari ed altri pittori alla decorazione della grande galleria del duca Carlo Emanuele I. In quel periodo, o negli anni immediatamente successivi, egli visse per qualche tempo a Chieri, come si evince da un attestato ducale di pagamento che lo definisce “habitante a Chieri”. Secondo una tradizione,  egli visse in una delle casette che si mescolavano agli orti  fra la prima e la seconda cerchia muraria della città: una piccola casa con “lobia” oggi al numero 14 di Vicolo Mozzo dell’Annunziata. Sulla facciata di questa casa, fra la porta d’ingresso e, appunto,  la “lobia”, compare una Madonna col Bambino che vari esperti (fra cui Giovanni Romano) hanno attribuito al Moncalvo.  La Madonna, in sontuose vesti e  assisa davanti ad un paesaggio che si intuisce profondo e rigoglioso, sorregge con atteggiamento affettuoso il Bambino Gesù. Abbiamo scritto che il paesaggio  “si intuisce” profondo e rigoglioso, perché in realtà l’affresco è molto sbiadito, soprattutto per quanto riguarda lo sfondo. Ma sbiadita è anche l’immagine della Vergine , e sbiadita, e in parte illeggibile, è la scritta di vernice scura posta in basso a sinistra, della quale si leggono solo le parole iniziali:  “Ave Virgo Gloriosa Mater Dei memento me …” (Ave, Vergine gloriosa, Madre di Dio,  ricordati di me … ). Appena leggibile è rimasta anche la data di esecuzione, il 1606. Quel che è peggio è che l’intonaco dipinto si sta staccando dalla parete. Una vasta porzione di esso, in basso a destra, è già andato perduto ed è facile prevedere che, se non si interviene, tutto l’insieme è destinato a fare la stessa fine. Nel 2007, in occasione del restauro della casa, sembrò che, grazie alla collaborazione fra la proprietà e qualche associazione, si riuscisse ad intervenire anche sull’affresco.  Si chiese anche un preventivo al restauratore chierese Michelangelo Varetto, ma non se ne fece niente.

L’altro dipinto (di nuovo una Madonna col Bambino), che nell’esecuzione  appare ancora più fine e “moncalvesco”,  si trova in via Tana 22, in corrispondenza di un terrazzo del primo piano. Anche questo versa in condizioni precarie. Anche qui l’immagine è sbiadita, i nomi dei committenti quasi illeggibili e appena visibile è la data di esecuzione, il 1605.

Ci si chiede come mai delle opere che hanno attraversato indenni quattro secoli di storia,  negli ultimi decenni abbiano subito un tale tracollo. La probabile risposta è che, se erano preparate ad affrontare le normali avversità atmosferiche, non lo erano, e non lo sono, a subire le ben più micidiali offese dello smog che caratterizza la vita moderna. Se si vuole allungare la loro vita è necessario procurare loro nuove e più efficaci protezioni e bisogna farlo senza frapporre altro tempo un mezzo. Abbiamo due opere che il mondo ci invidia e che, se stessero in qualche cittadina francese o tedesca, ma anche in qualche altra città italiana, sarebbero oggetto di una  cura maniacale per evitarne la perdita. Chieri, invece, che fa? Le trascura come se si trattasse di insignificanti “croste”dell’ultimo imbrattatore di muri. Con il rischio, fra dieci anni, di finire sulle prime pagine dei giornali per aver assistito senza far nulla alla scomparsa di due opere del Moncalvo.