PIEMONTE ARTE: BAM ON TOUR, ACCORSI, RUGGERI, M.A.O., POLO DEL ‘900…

BAM ON TOUR 2017, ARTE CONTEMPORANEA A MONCALIERI E TORINO

L’edizione 2017 della BAM on Tour, in attesa della prossima Biennale dell’autunno 2018, prevista in una nuova sede, la Casa del Conte Verde a Rivoli,  quindi, per la prima volta, nella zona nord dell’area metropolitana torinese, che affronterà un decennio controverso come quello degli anni Novanta, si inoltra, aggiornandolo nei contenuti,  in un tema già sviluppato con successo nel biennio 2008/2009, quello del legame tra arte e design.

Titolo “Contemporary Artdesign”. Luoghi divisi tra Moncalieri, Fonderie Teatrali Limone, e  Torino, con due importanti spazi privati come la galleria Panta Rei, e Interni Bonetti.

Scrive Edoardo Di Mauro: “La selezione degli autori presenti in mostra, cui hanno dato un importante contributo Riccardo Ghirardini ed Edmondo Bertaina, si pone l’obiettivo di non far percepire differenze particolari tra chi è annoverato solitamente nell’ambito dell'”arte”, e chi invece in quello del “design”.

Credo che una definizione precisa, in parte estendibile ai protagonisti dell’evento, sia quella che è stata data per una delle presenze meritatamente più note, quella di Franco Mello, che nel 1972 progettò, insieme a Guido Drocco, il celebre Cactus appendiabiti per Gufram, tratta da una nota critica di Flaviano Celaschi, redatta in occasione di una recente ed importante personale presso la Fondazione Plart di Napoli : “Franco Mello è un prodotto bellico che ha avuto la fortuna di vivere i migliori anni degli ultimi secoli. Lo ha fatto senza mai decidere che mestiere fare, senza mai vivere di lavoro, portandosi continuamente da un progetto all’altro in un’ansia di irrequietudine intrisa di pensiero riflessivo, senza mai chiedersi se fosse arte, design, editoria, grafica, televisione, allestimento, architettura, o altro”

Gli autori presenti sono accomunati da un uso attento e consapevole dei materiali, ed immersi in una dimensione di eclettismo estetico ed esistenziale.

Potremo ammirare l’oggettualismo decorativo ed attento alla dimensione della memoria di Lorenzo Alagio, la creatività ludica ed irriverente di Corrado Bonomi, tra i protagonisti del “concettualismo ironico italiano”, lo stile colorato ed al tempo stesso rigoroso di Alessandro Cagnoni, autore della “Poltrona Carrarmato”, la pittura a spray espansa su ogni genere di superfici ed oggetti di un grande protagonista dell’arte italiana e piemontese del secondo Novecento come Antonio Carena, l’eclettismo multidisciplinare ed attento alla smitizzazione delle icone contemporanee di Riccardo Ghirardini, l’ incessante sperimentazione di materiali, luci, suoni e colori che caratterizza il lavoro di Ferdi Giardini, la natura reinventata ed alla perenne ricerca di un rapporto equilibrato con la tecnologia e l’ambiente di Piero Gilardi, Diego Gugliermetto, artista designer che si definisce “artigiano imprenditore con vena artistica”, la stratificazione del tempo e dello spazio nella dimensione dell’oggetto di Carla Molina, la contaminazione tra il linguaggio dell’avanguardia storica e la  dimensione post moderna di Ugo Nespolo, la ricerca di soluzioni estetiche adeguate sia allo spazio ed all’intimità dell’interno, che alla scena metropolitana, di U-Layer, le sintetiche forme organiciste e biomorfe di Elio Garis, l’alchimia di Theo Gallino, in grado di sintetizzare oggetti , colori e materiali dando loro una forma inedita, Salvatore Zito, autore capace di donare un’aura mitica ed atemporale ad oggetti e simboli del contemporaneo, la coerente ricerca di forme artistiche ottenute tramite la sperimentazione di un materiale non facile come il vetro di Paola Gandini, il lavoro di Matteo Ceccarelli, che sintetizza arte, architettura, arredo, scultura e complementi artistici, la equilibrata armonia tra pittura, oggetto e spazio che da sempre caratterizza la ricerca di Ferruccio D’Angelo , le superfici varie e variabili di Vittorio Valente, cosparse di silicone e pigmenti colorati, la banca dati cui ricorre Eraldo Taliano per le sue opere, che va dal vintage, all’antica stampa cinese, alla coperta, al tavolo di design, od alla scodella, in un variegato universo di citazioni. Chiudo con il lavoro di Damiano Spelta riportando una esemplare citazione di Gaetano Pesce su di lui : ” A mio modo di vedere Damiano Spelta è uno dei rari artisti che commenta la realtà attraverso gli oggetti. Alla sua attenzione saltano delle cose che fanno parte del quotidiano e con la sua creatività cambia la funzione dell’oggetto e ne trasforma la scala. Quindi ci troviamo di fronte ad un orologio da polso che diventa una seduta o ad una chaise longue composta da una grande lingua che ci ricorda quanto la gente parli inutilmente, oppure ancora un astuccio di un rossetto gigante che diventa il perno funzionale di un tavolino ed esprime l’importanza della cosmesi nella nostra vita. Il finale è che questi oggetti rifiutano l’astrazione , attitudine benedetta ed auspicabile, e ci introducono nel mondo dell’immagine con un fare ironico, gioviale e fantastico”

 

 

MUSEO ACCORSI: 1895-1925 LA GIORNATA DI UNA SIGNORA

Abiti della Collezione Roberto Devalle

Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto, Torino

19 ottobre 2017 – 7 gennaio 2018

La Fondazione Accorsi-Ometto ospita, nelle sale dell’omonimo museo, una serie di abiti provenienti dalla Collezione Roberto Devalle e risalenti al periodo 1895-1925.

L’esposizione, curata da Silvia Mira, storica della moda, conduce il visitatore all’interno di un mondo che, per essere capito appieno, va decodificato: gli abiti rappresentano una sorta di linguaggio non scritto, che rimanda a realtà sociali e politiche specifiche, che parla di differenze e di uguaglianze, di appartenenze e di esclusioni. Gli abiti sono parole che continuano a raccontare, anche dopo molti anni, il contesto, all’interno del quale e per il quale, sono stati concepiti.

In questo modo, il percorso museale si trasforma nella perfetta scenografia per ambientare capi

significativi, alcuni firmati da note Maison torinesi, come Sacerdote o De Gasperi e Rosa, altri da sartorie sconosciute, ma tutti in grado di trasportare i visitatori in una realtà e in una ritualità lontana e, ormai, dimenticata. L’occasione è offerta dalla mostra GIACOMO GROSSO. Una stagione tra pittura e Accademia (Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto, Torino | Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti, Torino, Palazzo

Comunale di Cambiano, 28 settembre 2017 — 7 gennaio 2018), grazie alla quale gli abiti esposti nelle sale del museo dialogano idealmente con quelli dei dipinti in mostra, per sottolineare, come arte e moda, pittura e tessuti, siano uniti, tra loro, a un preciso momento storico e all’evoluzione della moda e del costume. L’avventura della sartoria Devalle inizia a Torino nel 1925: Giovanni Devalle, attore, nonché sarto e costumista, acquista i costumi e le attrezzerie delle case di produzione torinesi che, dopo i successi Benemeriti della Cultura e dell’Arte cinematografici di Cabiria e La saga di Maciste, stanno progressivamente chiudendo e li affitta alle compagnie di prosa e di lirica che si esibiscono nei teatri torinesi. È, però, con il figlio, Roberto Devalle, che la sartoria acquista la sua funzione più importante: non solo quella del noleggio, ma anche quella della creazione di fantasia e di ricostruzione filologica dei costumi per lo spettacolo.

Il giovane Devalle, dopo aver frequentato i corsi di figurino e storia del costume tenuti da Golia e lavorato presso note sartorie torinesi, nel 1948 viene nominato capo della sartoria del Teatro Regio di Torino; nel 1951 viene assunto alla Sartoria teatrale della Scala a Milano, dove resta fino al 1956, anno in cui fa ritorno a Torino per assumere la direzione della ditta paterna. Nel 1968 la sartoria si trasferisce nella sede attuale di Via degli Artisti. Sono gli anni del boom della televisione con programmi di rilievo e sceneggiati di successo e molti dei costumi che vanno in onda sulla Rai provengono dalla sartoria Devalle e sono per lo più confezionati ex novo.

Il lavoro di Roberto Devalle si fa sempre più meticoloso, grazie a una ricerca filologica, non solo sugli stili, ma anche sulle tecniche sartoriali del passato: gli abiti antichi vengono catalogati e studiati, per comprenderne i segreti di costruzione e carpirne i trucchi di manifattura. Ancora oggi, accanto alla sua attività sartoriale e di noleggio, Roberto Devalle, affiancato dalla preziosa presenza del figlio Andrea, va alla ricerca di abiti e costumi d’epoca, restaurandoli e studiandoli, rendendo, così, la sua collezione fonte importante per mostre, esposizioni, spettacoli teatrali, sceneggiati televisivi e film. I capi che Roberto Devalle ha raccolto nel corso del tempo ci portano all’interno di un mondo che, per essere capito appieno, va decodificato: gli abiti, infatti, anche dopo molti anni, continuano a raccontare il contesto, all’interno del quale e per il quale, sono stati concepiti.

Il guardaroba di una signora della buona società, per esempio, doveva comporsi di diversi capi adatti a rispondere alle esigenze sociali che era chiamata a rispettare nel corso della giornata. Il cambiarsi d’abito, come minimo quattro volte, non era un vezzo, ma un dovere sociale.

La visita in mostra comincia con due abiti femminili, uno da giorno, del 1897 circa, e uno da pomeriggio del 1900-1903. Ogni signora della buona società apriva la propria casa un giorno fisso della settimana a un orario prestabilito, per ricevere le visite da parte dalla propria cerchia di amicizie. Chi si recava in visita indossava un abito da pomeriggio sempre accollato, completato da cappello e guanti, mentre la signora che riceveva adottava una toilette sobria, ma elegante.

In sala della musica il visitatore è accolto da un abito da sera tempestato di pailettes nere del 1907 circa. I ricevimenti serali, le veglie, potevano avere carattere intimo o di gala: nel primo caso si adottava l’abito da visita, mentre, nel secondo caso o in occasione dell’esibizione di un musicista o di un cantante, si doveva indossare un abito da sera. Alle veglie di gala le signore non portavano mai il cappello, ma usavano il ventaglio e lunghi guanti in pelle, bianca o avorio.

In sala Luigi XVI e in sala Piffetti sono esposti ancora degli abiti da sera e da passeggio, mentre in camera da letto Accorsi sono presenti una veste da camera (robe du matin), usata nell’intimità della propria camera e un abito del tè (tea gown). L’usanza anglosassone del rito del tè cominciava a coinvolgere tutta l’Europa elegante. Anche la moda si adeguava proponendo, per la signora che ospitava il ricevimento, un abbigliamento più “libero” che permetteva una maggior fantasia sia nella foggia che nelle decorazioni. Nella camera da letto Bandera due abiti, di inizio Novecento, dimostrano come la moda di questo periodo prediligesse i colori a tinta unita e il bianco avorio per le giornate estive e i trattenimenti all’aperto. Nel salottino Luigi XV e nella camera da letto veneziana si trovano mantelli e abiti da giorno degli anni 1910- 1918 , a testimonianza del costante influsso della moda parigina a Torino. Nella prima sala Cignaroli il frack evidenzia il fatto che l’eleganza maschile non subiva i capricci della moda: solo alla fine degli anni Venti, i gentiluomini cominciarono a preferirgli il meno compassato smoking. Mentre l’abito da sera del 1925-1927 rappresenta una fra le più importanti rivoluzioni, che meglio interpreta l’emancipazione della donna dagli inizi del secolo: l’orlo delle gonne che comincia ad accorciarsi.

Nella seconda sala Cignaroli concludono il percorso due elegantissimi abiti da sera, del 1924-25. L’estrema semplicità strutturale dell’abito di chiffon o crepe de Chine era integrata da sontuose decorazioni, ricamate con perline vitree iridescenti, paillettes, perle, fili d’oro e d’argento. La linea dritta e tubolare del vestito creava una nuova architettura accentuando la verticalità e valorizzando la silhouette. Questi meravigliosi ed elegantissimi abiti permettono, quindi, di fare un viaggio indietro nel tempo e forniscono l’occasione non solo di ammirare la bellezza e l’evoluzione delle linee, ma anche di scoprire che l’abito e il contesto erano scanditi da regole precise delle quali i manuali di buone maniere dell’epoca davano una fondamentale chiave interpretativa.

Informazioni per il pubblico: 011 837 688 int. 3 – info@fondazioneaccorsi-ometto.it

 

TORINO: ALLA GALLERIA BIASUTTI&BIASUTTI L’INTENSITA’ ESPRESSIVA DI RUGGERI

Nelle sale della Galleria «Biasutti&Biasutti», in via Bonafous 7/L, a Torino, è aperta sino al 4 novembre un’affascinante mostra delle opere di Piero Ruggeri (1930-2009), intitolata da «Materiche lacerazioni», con l’intervento della Fondazione Piero Ruggeri e catalogo a cura di Biasutti&Biasutti.

I grafici della storia, l’incedere vibrante del colore, il senso di una ricerca che appartiene alla cultura visiva del secondo Novecento e del nuovo Millennio, emerge dalle pagine pittoriche di Piero Ruggeri e da quel suo trascrivere le interiori rivelazioni su superfici solcate da impercettibili segni del tempo.

E sono segni, grumi di materia, preziose trame cromatiche, che prendono forma attraverso una gestualità che trasforma un’intuizione, una illuminante visione, una profondissima emozione in un’immagine che travalica la realtà per consegnarci l’essenza di una stagione dalla scrittura intensa, pulsante, insinuante.

Una scrittura in cui riconoscersi, ritrovare lontane sensazioni, riscoprire luoghi, spazi e determinanti approdi di una «pittura colta», di una sensibilità che comunica lo «splendore del mestiere», come ha rilevato lo scrittore e poeta Edoardo Sanguineti.

Nello studio di Battagliotti di Avigliana, Ruggeri ha ricreato percorsi scanditi dalla volontà, mai sopita o smorzata nel corso degli anni, di fermare nello spazio della tela o del foglio di carta il rapido fluire di un segnale che diviene riflessione, accentuazione figurale e – ha detto Roberto Tassi – «struttura fatta di forme aperte, di forme cioè frantumate».

Vi è, quindi, in questo rinnovarsi dell’immagine il clima di una pittura che emerge da un naturalismo reinterpretato, riconsiderato, ridefinito con un segno vigoroso, potente, incisivo e «temerario esercizio di rigore» (Pino Mantovani).

Un segno che incide la materia e affida alla trama del colore le personali e, talora, inconfessate tensioni esistenziali, delinea immateriali parvenze, stabilisce connessioni con questo nostro tempo corrosivo, inquieto e inquietante, raggiungendo un tono e una dimensione in cui è possibile avvertire «il nero coloratissimo, non più come germe, sottolinea Marco Vallora, ma come esplosione di energia».

E in questo processo conoscitivo, si inserisce l’esposizione della Galleria «Biasutti&Biasutti» di Attilio, Giuseppe e Paola Biasutti, dove la grande tela «Iridescenze 2» del 1975 offre, in un alternarsi di tessere di un frammentario mosaico, un determinante rapporto tra Ruggeri e lo spazio, tra un «dire» che si apre in esplosivi cromatismi e il disporsi nell’atmosfera dei tratti significanti.

E la composizione «occupa» le sale della Galleria con quella vitalità espressiva che mette in primo piano la personalità, il ritmo e la dialettica di un artista che ha attraversato con coerenza movimenti, correnti, illusioni creative del Novecento.

Un dialogo, il suo, tra l’uomo e le ragioni della pittura, in una sorta di racconto che unisce la «Natura morta» della fine degli anni Cinquanta alla spaziale dimensione dei grumi materici di «Anna 7» (1962), la densità della tavola «La frana du lac» del 2000 al colore di «La pundrà» del 2002.

Un dipingere, perciò, che non perde mai di vista l’evolversi dei temi e delle soluzioni tecniche relative all’arte del’900, di un’attività che lo vede presente in mostre con Saroni e Soffiantino, in significative antologiche o in rassegne come «Tra realismo e informale» promossa dalla Galleria Narciso nel 1993, accompagnata da un testo di Marzio Pinottini, o «L’Informale in Piemonte» a Palazzo Guasco di Alessandria nel 2010.

E dalle Biennali Internazionali di Venezia ai «Napoleoni», dalle  superfici e colori alla Galleria Martano (1989) alla sua incrollabile «persistenza pittorica», si delinea un itinerario che va oltre all’evidenza della linea per entrare nei capitoli di una narrazione mai sconfitta dal linguaggio contemporaneo, ma saldamente e coscientemente legata alla propria, indiscussa e dominante misura espressiva.

Ruggeri depura l’immagine, incrocia voci letterarie e quotidianità, suggerisce superfici monocrome e traduce ogni sottile illuminazione, ogni lacerazione, ogni sguardo rivolto al mondo circostante, in equilibrate rappresentazioni informali.

Rappresentazioni che richiamano il concetto di «poetica dell’opera aperta» espresso da Umberto Eco, parlando dell’arte Informale.

Un periodo e una filosofia che appaiono quale punto di convergenza intorno a un atteggiamento culturale caratteristico di un’epoca, di una ricerca, di un singolare percorso proiettato verso inesplorate galassie della conoscenza e del fare pittura-pittura.

E in Ruggeri le immagini di «Luce rossa» del 1990 e di «Rosso rosso» dell’anno successivo, di «Contamine» e della tempera «Senza titolo» del 1993, nascono all’insegna di un «controllo intellettuale sempre vigile» (Enrico Crispolti), da rarefazioni, da luminescenze e dalla segreta immagine delle cose.

E Ruggeri rivela la propria identità mediante segni e colori che si organizzano e percorrono le superfici, secondo un’interiore e lirica scansione di un linguaggio altamente evocativo.

 

                                   Angelo Mistrangelo

                                                                                     

 

TORINO: GUERRA E RELIGIONE. ABITI NELLE COLLEZIONI CINESE E GIAPPONESE DEL MAO

Il tema dell’abbigliamento è al centro dell’itinerario che prende avvio dalla galleria dedicata alla Cina, per soffermarsi, attraverso l’analisi delle opere, su abiti, copricapo e acconciature in grado di riflettere sia il periodo storico di riferimento, in particolare le dinastie Han e Tang, sia lo status sociale delle figure rappresentate. Tra le opere si segnalano le raffinate statuine in terracotta policroma raffiguranti danzatrici e i personaggi stranieri testimonianza del cosmopolitismo della corte Tang. La collezione cinese cede il passo a quella giapponese, dove si possono ammirare le armature dei samurai, datate dal XVIII al XIX secolo, i preziosi kesa, mantelli dei monaci buddhisti, e opere sulle quali sono rappresentate figure in abiti di diversi epoche e contesti.

Costo: 5 € a partecipante (+ biglietto di ingresso al Museo – gratuito per i possessori di abbonamento Musei)

Info e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

 

 

 

MOMBERCELLI, MOSTRA “MARIO LISA. TESTIMONIANZE”

A Mombercelli, al museo MUSarMO, ‘inaugurazione della mostra “Mario Lisa- Testimonianze” sabato 14 ottobre alle ore 17. La mostra, curata da Anna Virando, sarà aperta la domenica dalle 15,30 alle 18, fino al 19 novembre.

 

TORINO, GALLERIA IN ARCO: 30 ANNI!

La Galleria In Arco di Torino festeggia il trentennale dell’attività espositiva con la mostra collettiva Trent’anni. In Arco nasce nel 1987 in un piccolo spazio seminterrato, parte di un antico camminamento di epoca romana, in via Palazzo di Città a Torino. Direttore è Sergio Bertaccini, inizialmente affiancato nell’impresa dal collezionista Giancarlo Ferraresi. Il nome dello spazio deriva dalle suggestive arcate che caratterizzano la location. Le prime mostre sono incentrate sulle opere su carta, dove si mettono a confronto artisti di epoche diverse ma vicini per segno e linguaggio – Balla e Boetti, Sironi e Salvo – . Più avanti le personali di Paolini, Merz e Paladino.

Nel 1989 la Galleria trasloca in via Cesare Battisti angolo in via Carlo Alberto, in uno spazio ampio e prestigioso al piano nobile di un palazzo settecentesco che fu l’abitazione di Camillo Cavour. L’Arte Povera e la Transavanguardia caratterizzano la successiva stagione espositiva che inaugura con una grande mostra dello scultore e pittore tedesco Markus Lüpertz. Tra le altre  personali, quella di A.R. Penck e di Giulio Turcato. È dell’inizio del 1991 il definitivo spostamento nella sede attuale di In Arco in piazza Vittorio Veneto 3.

Negli anni 2000 In Arco ha maggiormente incentrato il proprio lavoro su artisti di chiara fama internazionale, come Tony Oursler, Teresita Fernandez, Timothy Greenfield-Sanders, continuando a proporre giovani pittori quali Manuele Cerutti. Negli ultimi anni si registra anche una messa a fuoco sulla Pop americana e italians –  tra gli altri Rauschenberg, Warhol, Schifano e la scuola di Piazza del popolo – sulla transavanguardia, Clemente, Cucchi e Paladino. Da ricordare anche due mostre collettive di particolare importanza, come Don Quixote e La Sindone e l’impronta dell’arte, entrambe curate da Demetrio Paparoni. Alcuni dei maggiori critici italiani – tra cui Luca Beatrice, Demetrio Paparoni, Gianni Romano, Achille Bonito Oliva, Giacinto Di Pietrantonio, Laura Cherubini, Daniela Palazzoli, Cristiana Perrella – e internazionali – Richard Milazzo, David Pagel, David Rimanelli – hanno curato mostre o scritto testi negli importanti cataloghi realizzati da In Arco, che costituiscono una vera e propria collana editoriale d’arte di assoluto prestigio.

Trent’anni celebra dunque, ma con leggerezza, l’appassionata e brillante attività espositiva della Galleria dal 1987 ad oggi, che coincide con la passione e l’acutezza del suo direttore, Sergio Bertaccini. In mostra opere di Stefano Arienti, Donald Baechler, Ross Bleckner, Alighiero Boetti, David Bowes, Pierpaolo Calzolari, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Daniele Galliano, Peter Halley, Alex Katz, Joseph Kosuth, Massimo Kaufmann, Ryan Mendoza, Mario Merz, Dennis Oppenheim, Tony Oursler, Mimmo Paladino, Giulio Paolini, A.R.Penck, Alessandro Pessoli, Michelangelo Pistoletto, Pierluigi Pusole, Robert Rauschenberg, David Salle, Salvo, Mario Schifano, Nicola Samorì, Andy Warhol. Trenta opere per i trent’anni della Galleria.

GALLERIA IN ARCO – Piazza Vittorio Veneto, 3 – 10124 Torino

tel/fax +39 011 19665399

mobile +39 335 7107388

www.in-arco.com

info@in-arco.com

 

POLO DEL ‘900: “OPPOSTI NON COMPLEMENTARI”

Bambini nei concorsi di bellezza statunitensi e nei campi profughi libanesi

Fotografie di Barbara Baiocchi e Jean-Claude Chincheré

A cura di Andrea Balzola

20 ottobre – 3 dicembre 2017

Polo del ‘900 – Palazzo San Celso; corso Valdocco 4/A – Torino

Uno sguardo iper-sensibile e diverso su bambini che vivono due condizioni estreme e opposte: i bambini confezionati dai genitori come bambolotti per le passerelle dei concorsi di bellezza negli Stati Uniti e i bambini che hanno perso tutto tranne la vita, in fuga dalla feroce guerra siriana e accampati provvisoriamente nei campi profughi libanesi.

I due autori degli scatti di “Opposti non complementari” si sono soffermati su bambini prigionieri degli adulti e delle loro follie, gli uni ingabbiati dall’incantesimo contemporaneo del look mediatico, gli altri rapiti dall’istinto predatorio della guerra. Sono mondi opposti e non complementari che non si possono parlare, uno fondato sul troppo e l’altro sul niente, l’uno costruito artificialmente, l’altro ridotto in macerie, che i due fotografi ci restituiscono con i loro sguardi: uno femminile e uno maschile, uno a colori, l’altro prevalentemente in bianco e nero, uno tagliente e ironico, l’altro empatico. Il curatore della mostra, Andrea Balzola, e Mara Moscano hanno messo in relazione alcune ricerche convergenti con i reportage realizzati dai fotografi Barbara Baiocchi e Jean-Claude-Chincheré: dalla testimonianza del giornalista reporter Toni Capuozzo – da sempre impegnato sulle frontiere dell’infanzia in pericolo e autore dell’illuminante libro Le guerre spiegate ai ragazzi – ai contributi video sulle bambine in passerella, “Bellissime” della scrittrice Flavia Piccinni, e “Divine” della regista Chiara Brambilla.

La mostra è prodotta dal Museo diffuso della Resistenza e dal Comune di Torre Pellice, con il sostegno del Consiglio Regionale del Piemonte-Comitato Resistenza e Costituzione, in collaborazione con la Diaconia Valdese e il Comitato Provinciale di Torino per l’Unicef; si inserisce nel programma “Infanzia Negata” promosso e organizzato dal Polo del ‘900, che si svilupperà tra ottobre e dicembre e avrà il suo momento

centrale il 20 novembre, Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia.

ASTI, UN LIBRO SU ITINERARI DEL ROMANICO

Presentazione del libro “Alla scoperta del romanico astigiano. Monferrato, Chierese, Colline del Po e Langa Astigiana: itinerari tra arte e natura”, di Franco Correggia,  che sabato prossimo (14 ottobre 2017) si terrà presso la Biblioteca Astense “Giorgio Faletti” (via Goltieri 3, Asti) alle ore 16,30, sotto l’egida del FAI e del TCI.