PIEMONTE ARTE: ROCCATI, CANZONETTE, INFORMALE, GERSTEIN E CAMPI, RIVOLTELLA, SERAFINO, MILLER…

 

PINACOTECA ALBERTINA: MOSTRA “LUIGI ROCCATI PITTORE, ARCHEOLOGO, POETA”

L’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino in collaborazione con l’Associazione Cesare e Vigin Roccati sono lieti di presentare in anteprima alla stampa la Mostra “Luigi Roccati pittore, archeologo, poeta” che si terrà dal 22 marzo al 5 maggio 2019 nelle Sale della Pinacoteca. La Mostra dedicata a Luigi “Vigin ” Roccati, a cura di Olga Gambari, è una nuova occasione per riscoprire l’opera di un grande artista del Novecento, legato al territorio, per restituirne la personalità e il lavoro artistico, dalle ricerche sulla antica Etruria alle marine di Venezia. Un allestimento prezioso ed emozionale, arricchito da preziosi inediti, in cui dialogano altre figure di artisti coevi e il mondo degli etruschi con una serie di reperti.

 

 

TORINO, MOSTRA “LEGAL CONTEST” DI PIER TANCREDI DE-COLL’

TORINO, ALLA PROMOTRICE LA MOSTRA “NOI…NON ERANO SOLO CANZONETTE”

Dal 22 marzo al 7 luglio 2019, alla Promotrice delle Belle Arti di Torino la Mostra “NOI …non erano solo canzonette”, una grande rappresentazione della storia italiana recente nella quale la “Musica d’Autore” diviene strumento di esplorazione e interpretazione delle grandi trasformazioni che caratterizzarono quegli anni. Patrocinata da Regione Piemonte, Comune di Torino, Camera di Commercio di Torino, RAI, SIAE, FIMI ed SCF, la mostra, prodotta da Bibibus Events con il supporto di Intesa Sanpaolo – che nell’ambito di Progetto Cultura sostiene importanti iniziative culturali in tutto il Paese –, è a cura di Gianpaolo Brusini, Giovanni De Luna, Lucio Salvini, e vede la partecipazione di Fabri Fibra, Giorgio Olmoti e Omar Pedrini.

Racchiusa fra l’abbraccio di Domenico Modugno sul palco di Sanremo 1958 e quello di Paolo Rossi nella notte di Madrid che nel 1982 laureò l’Italia campione del mondo, la mostra racconta la nostra esistenza collettiva di quegli anni. A costante contrappunto 100 opere musicali italiane, selezionate nel repertorio di quel periodo – da Peppino di Capri a Francesco Guccini, da Patty Pravo a Fabrizio De André, costituiscono una chiave di lettura e approfondimento in grado di trasmettere, anche a chi non c’era, il senso profondo di quella musica e di quegli anni. Un “passo a due” fra musica e società, dove gli stili di vita, le mode, le relazioni interpersonali e perfino le stesse istanze sociali sono influenzati l’uno dalle altre.

 

FONDAZIONE COSSO, MOSTRA “INFORMALE. DA BURRI A DUBUFFET, DA JORN A FONTANA”

Fondazione Cosso – Castello di Miradolo

6 aprile – 14 luglio 2019

Il 6 aprile, alle ore 15.00, un nuovo progetto espositivo prende avvio al Castello di Miradolo, a San Secondo di Pinerolo (To),  dedicato al tema dell’informale nell’arte internazionale.

La grande mostra, dal titolo Informale. Da Burri a Dubuffet, da Jorn a Fontana, è presentata dalla Fondazione Cosso e curata da Francesco Poli.

Per questo importante evento, il progetto artistico Avant-dernière pensée di Roberto Galimberti dedica alla mostra una inedita installazione sonora. La Fondazione Cosso, con Avant-dernière pensée, dà nuovamente vita, nelle sale, allo speciale allestimento didattico Da un metro in giù, che ha già accompagnato, con grande successo, le precedenti esposizioni. Dal 6 aprile al 14 luglio, al Castello di Miradolo, oltre 60 opere dei grandi protagonisti dell’informale accompagnano il visitatore tra dipinti, disegni e sculture, in un percorso suggestivo attraverso le riflessioni artistiche nate dopo il secondo conflitto mondiale, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, quando gesto e materia divengono protagonisti di una nuova visione del mondo. Il percorso espositivo si sviluppa attraverso 12 sale, in cui sono esposte opere che documentano le ricerche informali in Europa, quelle dell’espressionismo astratto americano e quelle in Giappone.

Per ciò che riguarda il contesto europeo si va dai protagonisti attivi a Parigi, come Dubuffet, Fautrier, Mathieu, De Staël, Hartung, Van Velde, Tàpies, Vieira da Silva, agli esponenti del Gruppo Cobra, come Jorn, Appel e Alechinsky, fino ai principali esponenti italiani, tra cui Fontana, Burri, Capogrossi, Vedova, Turcato, Moreni, Morlotti, Tancredi e Novelli.

Un focus speciale è dedicato alla vitale scena artistica torinese degli anni Cinquanta e Sessanta attraverso la presentazione di opere di Spazzapan, Gribaudo, Gallizio, Merz, Garelli, Ruggeri, Galvano e Carol Rama. L’espressionismo astratto americano è ben rappresentato da notevoli dipinti di Gorky, Hofmann, Tobey, Bluhm e Sam Francis.

E infine, di particolare interesse, sono gli artisti informali giapponesi, dal Maestro del Gutai Motonaga, ad altri esponenti informali come Onishi, Imai, Domoto e Teshigahara, che il critico Michel Tapié aveva presentato in mostra a Torino. In occasione della mostra, Avant-dernière pensée propone al pubblico una propria riflessione musicale sul tema dell’informale attraverso un’inedita installazione sonora che accompagna la visita. Le opere esposte trovano un ideale controcanto nelle armonie, nei suoni, nei rumori, nelle linee vocali e strumentali di tre autori che, tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, hanno sperimentato, ciascuno con il proprio linguaggio, la materia sonora. Dialogano tra loro le esperienze musicali di Dubuffet, un’esplorazione curiosa delle possibilità della registrazione, Miles Davis, in Kind of blue, uno dei dischi capitali nell’evoluzione del linguaggio del jazz, e la voce di Cathy Berberian nelle Folk Songs di Luciano Berio, tra melodie antiche da ogni parte del mondo e sonorità nuove. Lo speciale allestimento didattico Da un metro in giù si conferma come novità nel panorama espositivo: nato per suggerire al pubblico differenti prospettive di fruizione dell’opera d’arte e degli spazi museali, rivoluziona la relazione con l’oggetto esposto e con il suo contesto. I visitatori di ogni età trovano, nelle sale, spunti di approfondimento e di gioco, in continuità con lo spirito che anima le opere, e sono invitati ad adottare lo “sguardo di un bambino”: mettere alla prova i cinque sensi e liberare la curiosità.

Integrano l’esperienza di scoperta una sala didattica e un piccolo libro con ulteriori giochi e approfondimenti che dialoga con l’allestimento ed è disponibile presso la biglietteria. In occasione della mostra Informale. Da Burri a Dubuffet, da Jorn a Fontana è stato realizzato un catalogo, a cura di Francesco Poli e Paola Gribaudo, edito da GLIORI Editori. Il visitatore può richiedere il servizio di audio guida per la visita della mostra, realizzato con i contributi del curatore Francesco Poli.

Castello di Miradolo

6 aprile  – 14 luglio 2019

Apertura al pubblico: 6 aprile, ore 15.00

Orari

Venerdì, sabato, domenica, lunedì: ore 10.00 – 18.30

Tutti i giorni possibilità di visita su prenotazione al n° 0121 502761 e-mail prenotazioni@fondazionecosso.it

Biglietto

Intero 12 euro

Ridotto gruppi e convenzionati 10 euro

Ridotto 6/14 anni 5 euro

Gratuito bambini fino a 6 anni e Abbonati Musei.

 

FONDAZIONE AMENDOLA: MOSTRA “LA FINESTRA DELL’ANGELO – I LUOGHI DOVE NASCE L’ARTE”

Viaggio per immagini negli studi di 26 artisti piemontesi

156 fotografie che raccontano i loro spazi metafisici fra pennelli, vernici, objets trouvés, rivelando la loro dimensione più nascosta e segreta.

Fotografie di Marco Corongi e Stefano Greco. Dal 22 marzo al 15 giugno 2019. Inaugurazione : gioved1 21 marzo – ore 18,00.

Fondazione Giorgio Amendola –  Via Tollegno, 52  Torino

Orario mostra:      Lunedì-venerdì 10,00/12,30 – 15,30/19,00

sabato 10,00/12,30

Organizzazione: Fondazione Giorgio Amendola – Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi – Marco Corongi – Stefano Greco

ARTISTI:

Nino Aimone, Ermanno Barovero , Enrica Borghi, Gianni Busso, Romano Campagnoli, Antonio Carena, Francesco Casorati, Clotilde Ceriana Mayneri,   Mauro Chessa, Riccardo Cordero, Loris Dadam, Marco Gastini, Massimo Ghiotti, Ezio Gribaubo , Giorgio Griffa,  Luigi Mainolfi, Pino Mantovani,  Leonardo Mosso,  Michela Pachner , Francesco Preverino,  Giorgio Ramella, Marina Sasso,  Giacomo Soffiantino, Mario Surbone,  Fabio Viale, Gilberto Zorio.

Ma si possono ancora oggi rappresentare in fotografia gli artisti e i loro, a volte, inviolabili ateliers? Bella domanda in un momento di straordinaria confusione su piccole questioni del tipo: cos’è l’arte contemporanea? chi è l’artista e chi il fotografo? cosa vuol dire essere artisti e fotografi allo stesso tempo nella nuova era geologica chiamata un po’ frettolosamente ‘digitale’? Per affrontare questo scivoloso terreno il pensiero, almeno quello del fotografo va, quasi inevitabilmente, ai ritratti di artisti realizzati dai grandi fotografi del ‘900: la memoria rimanda alle immagini di Man Ray, i Picasso di David Douglas Duncan o di Gjon Mili, i Matisse di Cartier-Bresson e di Robert Capa, gli esponenti della pop art magistralmente ripresi da Ugo Mulas, o quelli immortalati da Karsh, Halsman, Avedon o Irving Penn? Tanto per citarne alcuni. Marco Corongi e Stefano Greco, due nomi che non solo a Torino dicono qualcosa, hanno con sommessa eleganza e assoluta padronanza del linguaggio visivo, interpretato e descritto gli studi di 30  protagonisti dell’arte contemporanea piemontese, come suggerisce il sottotitolo della mostra “i luoghi dove nasce l’arte”, riuscendo a raccontarci la loro esperienza artistica e umana con empatia e passione. Nasce da questo lavoro anche una galleria di ritratti non scontati: i protagonisti di questa piccola saga, di una storia che rimanda l’uno all’altro dentro i loro spazi metafisici, fra pennelli, vernici, objets trouvés, si rivelano nella loro dimensione più nascosta e segreta. Ma, questa piccola nota è piena di domande, come hanno fatto Corongi e Greco a superare la ritrosia innata di alcuni, totalmente immersi nella loro arte e spesso sospettosi di ogni ingerenza esterna? E’ stata certamente determinante la personale conoscenza degli artisti e la reciproca stima che hanno reso possibile sciogliere talune riserve e diffidenze, tutto è stato affrontato anche con discrezione “sabauda”: una prima visita per incontrarsi e parlare, una seconda per fotografare gli artisti, quasi sempre e volutamente, non in posa, interpretati quasi come elementi complementari, al pari dello sterminato numero di C. Il progetto è iniziato nel 2009 con il contributo di Pino Mantovani con il quale gli autori hanno elaborato, dopo numerose e attente riflessioni, una selezione di artisti , firme prestigiose di caratura internazionale. Da questa lista originariamente composta da 40 ateliers   ne sono stati scelti per la mostra 26:

Nino Aimone, Ermanno Barovero, Enrica Borghi, Gianni Busso, Romano Campagnoli, Antonio Carena , Francesco  Casorati,  Clotilde Ceriana Mayneri,  Mauro Chessa, Riccardo Cordero,  Loris Dadam, Marco Gastini, Massimo Ghiotti,  Ezio Gribaudo, Giorgio Griffa, Luigi Mainolfi,  Pino Mantovani, Leonardo Mosso, Michela Pachner,  Francesco Preverino, Giorgio Ramella, Marina Sasso, Giacomo Soffiantino, Mario Surbone, Fabio Viale, Gilberto Zorio.

Viene in tal senso restituito un quadro ovviamente non completo ma di per sé fortemente significativo della scena artistica torinese. Non è un’operazione da poco perché Marco Corongi e Stefano Greco si sono addentrati in un campo già sperimentato da molti altri, in tempi diversi e con altre modalità. Insomma i due architetti-fotografi che si conoscono fin dal epoca del liceo, coautori di altri importanti progetti fotografici, hanno saputo lavorare con leggerezza anche quando, hanno “violato” gli studi e l’intimità dei  26 maestri. In più lo hanno fatto trovando una loro personale chiave interpretativa, non aggressiva pur lavorando con il colore, restituendo nelle immagini di forte valenza visiva dalle ricercate inquadrature il momento topico dell’incontro con l’artista, quello più carico di sincera umanità e di una non forzata reciproca simpatia.

Mauro Raffini

“………. Questo studio è stato a lungo segreto per i laici e sottratto agli addetti che non siano collaboratori. Altro è la teatralizzazione del laboratorio, la sua rappresentazione per la curiosità di affascinati visitatori; e non mancano leggende d’inganni fra chierici, spesso per sottolineare la differenza dei livelli d’intelligenza.

Ho parlato di momento, perché lo studio, nel caso, non è tanto un luogo, quanto uno stato nel processo esecutivo , nascosto per ragioni materiali quando ancora esistevano i segreti tecnici, per ragioni concettuali quando importava affermare il fondamento intellettuale o addirittura geniale del lavoro, per “educazione” come se tutto ciò che precede l’esito fosse in qualche modo vergognoso o almeno improprio, in quanto elaborazione imperfetta.

Questo momento ancora varrà per chi abbia scelto di proseguire una certa tradizione creativo/operativa. Tuttavia, in mutata temperie culturale, non solo dovrà confrontarsi con una drammatica caduta di professionalità, ma anche con una rovesciata sensibilità, che dello scoprire ed evidenziare ciò che sta prima-sotto-intorno si è fatta dovere etico, tema di indagine, occasione di gioco. Protagonisti diventano i materiali e la loro trasformazione: se mai in partenza erano “puliti”, in ordine più o meno rigoroso, dopo che l’immagine si è formata restano sotto specie di spurghi, bave, avanzi, in fin dei conti tornano ad essere “natura”. E’ difficile immaginare – se “naturale” – che un parto sia asettico e indolore: è pur sempre un metter fuori l’interiorità di un corpo molle e sanguigno. In pittura, ad esempio, i materiali bisogna violarli, sradicarli dal posto dove starebbero tranquilli e perfetti, perché diventino immagine, che non è fantasma ma corpo ulteriore. Di questa drammatica vicenda, per forza resta traccia nel luogo dove si consuma, appunto lo studio.”

Pino Mantovani

Il progetto fotografico “La finestra dell’angelo – i luoghi dove nasce l’arte”  si sviluppa intorno all’idea di narrare e descrivere, attraverso molteplici traiettorie visive, lo studio dell’artista quale spazio dove germinano le idee e prende forma, come per un sortilegio, l’ opere d’arte. Lo studio è Il luogo dove l’artista non solo esercita la sua professione e pone in essere ingegno , creatività e intuizione, ma metaforicamente diventa il luogo dove si svolge il rito magico per eccellenza,  dove la materia grezza trasmutata viene elevata a concetto e significato, uno spazio sospeso tra il mondo reale e la dimensione metafisica, ove il pensiero razionale e il mondo immaginifico si materializzano. Lo studio dell’artista ha certamente una connotazione fisica, una sua particolare fisionomia, un suo carattere,  talvolta connotato anche da forti valenze estetiche, ma soprattutto si rivela quale  espressione palese della personalità del suo fruitore. Può apparire, da un osservazione sommaria, un contenitore organizzato o caotico di oggetti, strumenti di lavoro, di frammenti di ricordi, di segni, di esperienze che riconducono comunque sempre alla dimensione eterea del pensiero. Lo studio  è un palcoscenico segreto e nascosto, dove l’artista, attraverso i suoi mezzi espressivi, mettere in scena “la grande opera” .

“La finestra dell’angelo”,titolo ispirato da un opera letteraria dello scrittore Gustav Meyrink, è un suggestivo viaggio per immagini teso a svelare i segreti di luoghi avvolti da un irresistibile fascino misterico,  non di rado inaccessibili e inviolabili come l’antro di un alchimista.

Stefano Greco

 

TORINO,“ARTE MODERNA” DI ELENA SALAMON: OPERE DI DAVID GERSTEIN ED ENRICA CAMPI

La galleria “Arte Moderna” di Elena Salamon (via T. Tasso 11, piazzetta IV marzo, Torino) propone le sculture di David Gerstein ed Enrica Campi. Si tratta di opere di dimensioni limitate ma molto originali ed interessanti.

David Gerstein presenta 7 lavori in acciaio smaltato e tiratura limitata, tutti realizzati nel 2016, di carattere figurativo, con qualche reminiscenza liberty e un certo gusto ludico: “Crazy bird”, “Window summer”, “Face to face”, “Bouquet red”, “Butterflies dance”, “Dancers rockers”.

Gerstein è un pittore e scultore israeliano, Particolarmente interessato a fare un lavoro che parla al mondo dell’arte restando accessibile al pubblico. E’ noto per le sue installazioni pubbliche di grandi dimensioni, la più grande delle quali : “Momentum” si trova a Singapore. Nato nel 1944 a Gerusalemme, Gerstein ha studiato arte prima all’accademia delle arti e del design di Gerusalemme e poi all’école nationale supérieure des beaux arts di Parigi. A 26 anni ha iniziato a dipingere e nei decenni successivi ha sperimentato la scultura, utilizzando metalli e colori vivaci. Artista di fama internazionale, ha esposto in tutto il mondo: da New York a Rio, da Parigi a Las Vegas, portando ovunque umorismo, energia e bellezza.

Enrica Campi propone 6 sculture in terracotta e acrilico (prima cottura  semifrattario bianco, seconda cottura con ossidi e smalti e interventi di acrilici), realizzati nel 2018, con la prevalenza di soggetti femminili ripresi con capacità sintetica, in chiave poetica e ironica:  “Guancia a guancia”, “La coppia”, “Baciami”, “Riccioli”, “La gentilezza dei pensieri”, “Accoccolata”.

Campi, nata a Borgone nel 1961, inizia la sua attività artistica come scenografa e per anni ha collaborazioni prestigiose, come quelle per lo Stabile e il Regio di Torino. Così ha iniziato a creare modellini teatrali con scene e personaggi, molti ispirati alle cantanti di opere liriche. Dopo essere state protagoniste sul palcoscenico, queste donne  hanno cominciato ad avere vita propria e a lasciare la scatola teatrale che le racchiudeva per diventare delle vere e proprie sculture.

Enzo De Paoli

 

TORINO, BARDOT ART CAFE’: “LA MEMORIA DELLE PARTICELLE ELEMENTARI“, MOSTRA DI JIMMY RIVOLTELLA

Inaugurazione: 28/3/2019 h. 18

Via Romani 2, Torino

a cura di Om Bosser e Laura Gillio

Chiusura: 5 maggio 2019

Ogni luogo ha la sua storia, ogni spazio, con le proprie architetture, richiama alla mente memorie personali, vite passate che un tempo vi dimoravano. La fotografia, nella sua potenza evocativa, è una testimonianza inderogabile di queste esistenze che un tempo furono il presente, nei propri drammi, nelle proprie complessità e nelle proprie illusioni. Un tempo che non ritorna, ma che è possibile rivivere attraverso i fotogrammi, per scrutare e ispezionare attimi di biografie che, se pur anonime, raccontano di un’urgenza del momento. Jimmy Rivoltella, attraverso la tecnica del foto collage, dedica la sua ricerca artistica alle micro-narrazioni del quotidiano. Ha un particolare interesse per gli oggetti residuali realizzando composizioni d’immagini frammentarie e stranianti. Ama perdersi nello spazio familiare (non solo il suo) nel quale raccoglie fotografie tracciando le traiettorie delle sue derive e con le quali (ri)compone le storie di chi lo attraversa. Nelle sue opere è fondamentale la relazione con l’archivio. L’archivio personale e le raccolte affettive di collezioni private diventano strumento d’indagine ed espediente narrativo. Dal progetto traspare spesso l’intenzione ridiscutere l’immagine fotografica in quanto documento: i soggetti, il punto di vista, le inquadrature e il montaggio di una sequenza sono orientati a rendere le fotografie allusive, ambigue, aperte all’interpretazione e al riconoscimento soggettivo e parziale di ciascuno. Il progetto si inserisce come ultimo tassello del lungo percorso artistico di Jimmy denominato Divini Devoti

 

TORINO, SPAZIO DON CHISCIOTTE: DOCUMENTARIO “DAVID RUFF’S LEGACY I”

Nell’ambito della mostra Seeming Confines, giovedì 21 marzo 2019 alle 18.30 sarà proiettato “DAVID RUFF’S LEGACY I” (circa 20 minuti), documentario realizzato e diretto da Ernaldo Data. Il corto presenterà la prima fase di testimonianze di persone che hanno conosciuto David Ruff negli Stati Uniti, tra New York e San Francisco, fino al 1955, momento in cui l’artista decide di dedicarsi interamente alla pittura. Nel documentario la moglie Susan Finnel dialoga con Attila Turkkan (amico di Ruff a New York), Tram Combs (poeta e vicino di casa di Ruff a San Francisco), Lawrence Ferlinghetti (amico di Ruff), rievocando momenti di lavoro, studio e condivisione nel periodo tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Il progetto è un work in progress, fonte di informazioni d’archivio e di studio sulla vita dell’artista. La fase successiva sarà dedicata agli amici che hanno conosciuto Ruff nel periodo del suo attivismo politico. Per tutta la durata della mostra, ai visitatori viene esteso l’invito a partecipare al progetto con il loro racconto.

Orari mostra: da martedì a sabato ore 10.30-12.30 / 15-19.

Ingresso libero

 

GALLERIA D’ARTE PIRRA: “EXTRA LARGE”

Una rassegna evento dedicata, per la prima volta e solo per quindici giorni, esclusivamente alle opere di grande formato degli autori della Galleria. La mostra offre l’occasione di scoprire una produzione pittorica meno nota e l’opportunità d’immergersi in una dimensione di grande respiro. Tra i russi, Georgij Moroz (1937 – 2015) è forse l’artista che maggiormente predilige disporre di ampi spazi, perché le tele generose meglio riescono ad accogliere la sua pennellata impetuosa, il vigore artistico che lo caratterizza. E di largo respiro sono anche i soggetti rappresentati, tanto poetici quanto vitali, sempre legati all’energia della natura, come i potenti Girasoli (cm. 118 x 118) o Con la mamma (cm. 120 x 120), dove la figura umana è totalmente immersa nel paesaggio. Meno consuete, in questo formato, e quindi ancor più sorprendenti sono le nature morte di Maya Kopitzeva (1924 – 2005), dalla cui Finestra di città (cm. 126 x 134) viene il desiderio di affacciarsi, così come L’ora del tè (110 x 90), originale nella composizione e dai colori decisi, suggerisce un’atmosfera serena e accogliente. Sempre nature morte, ma totalmente diverse, sono le opere dal delicato ventaglio cromatico, intensamente liriche nella “povertà” dei soggetti (un tavolo di legno grezzo, dell’aglio, delle mele), del fiorentino Enzo Faraoni (1920 – 2017). Altrettanto sobrie sono le composizioni di Igor Smekalov, le cui figure quasi austere sono in perfetta sintonia con l’aura immobile che le circonda. In mostra, tra le circa 15 opere esposte, non possono mancare le tele di Gleb Savinov, uno dei principali esponenti della Scuola di Leningrado, e di Dmitrij Kosmin, grande rappresentante della Scuola di Mosca. La mostra rimarrà aperta sino al 10 aprile 2019 e subito dopo seguirà la rassegna Extra Small.

 

GALLERIA ELENA SALAMON: ALICE SERAFINO, “CON LA TESTA TRA LE NUVOLE”

21 marzo – 20 aprile 2019

opening 21 marzo 2019 dalle ore 18:00

Le opere di Alice Serafino sono pronte ad accogliervi presso la galleria Elena Salamon Arte Moderna.

In questo mondo fatto di morbide nuvole bianche e di cieli profondi come solo il blu di Prussia sa rendere, troverete lettori, tuffatrici, randonneurs, anime solitarie, giocatori di golf, coppiette in vespa e un variegato popolo di sognatori nei quali non stenterete a riconoscervi.

Alice dà vita ai suoi piccoli mondi in camera oscura lavorando prevalentemente con tecniche fotografiche analogiche: la cianotipia – antico metodo di stampa fotografica caratterizzata dal tipico colore blu, da qui il nome di derivazione greca kyanos, “ciano, blu” – e il fotogramma – noto anche come  rayografia, dal nome del fotografo Man Ray, è un’immagine fotografica ottenuta in camera oscura, senza l’uso di una macchina fotografica, ponendo direttamente uno o più oggetti sulla carta fotosensibile. Alice Serafino, (Pinerolo, 1980), dopo essersi laureata all’Accademia di Belle Arti ha continuato ad approfondire la propria ricerca negli ambiti della fotografia, dell’illustrazione e della grafica. Oltre all’esposizione permanente delle sue opere presso la galleria Elena Salamon Arte Moderna dal febbraio del 2011, negli ultimi anni ha esposto i propri lavori sia in Italia (Pinerolo, Genova, Roma, Torino, Cagliari, Milano, Bologna) che all’estero (Instabul, Praga, Londra). Nel 2018 vince il Premio Art Gallery Paratissima Torino e il Premio N.I.C.E. Paratissima Bologna. La galleria Salamon le ha dedicato le personali ‘Piccoli mondi a contatto’ nel 2013, e ‘Buio, Luce e Meraviglie’ nel 2017, quest’ultima replicata in forma ridotta nel 2018 nell’ambito della rassegna Fo.To Fotografi a Torino. Elena Salamon Arte Moderna è una piccola ed accogliente galleria affacciata su Piazzetta 4 Marzo, specializzata in stampe originali del novecento e stampe giapponesi, con qualche escursione nell’arte contemporanea e nella fotografia. La mostra Con la testa tra le nuvole rimarrà aperta al pubblico fino a sabato 20 aprile. In occasione dell’opening il 21 marzo dalle 18 sarà possibile interagire con un’opera-installazione e farsi immortalare “con la testa tra nuvole” grazie ad uno scatto istantaneo.

Orari di apertura.

Martedì, mercoledì e venerdì dalle ore 15.00 alle ore 19.00

Giovedì e sabato dalle ore 10.30 alle ore 19.00 (orario continuato)

 

 

KRZYSZTOF MILLER, UN FOTOREPORTER TESTIMONE DEL DRAMMA DELLA GUERRA

Una mostra allo spazio Eventa e un convegno a palazzo Cisterna per ricordarne la figura e l’opera

È il dramma dell’uomo in rivoluzioni, guerre e lotte che lo sguardo sensibile del fotoreporter Krzysztof Miller ha saputo cogliere magistralmente. Per la prima volta le immagini catturate sul campo dal fotografo polacco vengono presentate ed esposte in Italia, allo Spazio Eventa di via dei Mille 42 a Torino.

La mostra “Krzysztof Miller – Fotografie che non hanno cambiato il mondo. Storia di un fotoreporter polacco” è stata inaugurata nella serata di giovedì 14 marzo e ha aperto il calendario delle manifestazioni dello Slavika Festival (www.slavika.it/programma/.). Curata da Tiziana Bonomo di Artphotò con la partecipazione del Consolato generale della Repubblica di Polonia di Milano, la mostra presenta trenta scatti forniti dall’Agenzia Gazeta Wyborcza.

Alla figura e all’opera del fotoreporter polacco è dedicato un convegno in programma mercoledì 20 marzo alle 18 nella Sala Consiglieri di Palazzo Dal Pozzo della Cisterna, sede della Città Metropolitana di Torino, in via Maria Vittoria 12. Tra i relatori il giornalista e scrittore Luigi Geninazzi, il fotogiornalista Sergio Ramazzotti, Anna Ziarkowska, responsabile del Dipartimento educativo del Museo di Storia di Varsavia, Ulrico Leiss de Leimburg, console onorario della Repubblica di Polonia a Torino.

Miller, morto suicida nel 2016 in seguito a un periodo di sofferenza da stress post traumatico, lavorò in Africa, Afghanistan e Georgia. La mostra documenta la sua maestria professionale, con alcuni scatti e con un video sull’autore. Ci sono foto che hanno fatto la storia degli ultimi trent’anni, dalla “Tavola rotonda” polacca del 1989 alla rivoluzione che depose il regime di Ceausescu in Romania, dalle guerre di Bosnia al conflitto in Cecenia.

Krzysztof Miller sapeva catturare e fissare sulla pellicola il silenzio, la solitudine, la disperazione, il dolore, il dramma dell’uomo nelle vicende più drammatiche.

Nel libro “Fotografie che non hanno cambiato il mondo”, pubblicato postumo nel 2017, Miller scrisse: “La storia della mia vita è la storia di una continua paura. Un fotoreporter è solo e può contare solamente su se stesso. Solo con la storia, solo con l’immagine vista dal suo occhio e solo con i suoi pensieri e con l’immagine che andrà a vedere. Deve tappare le orecchie altrimenti il rumore della guerra danneggia i timpani, deve ripararsi dalle schegge di metallo e dai pezzi di terra e dalle pietre che gli vengono addosso. Ma a dire la verità nella fotografia di reportage conta solamente ciò che succede davanti all’obiettivo. Noi fotografi combattiamo per la testimonianza”.

 

STEVE MCCURRY. LEGGERE. INCONTRO CON LA CURATRICE BIBA GIACCHETTI

Mercoledì 27 marzo 2019 ore 17.30

Palazzo Madama – Gran Salone dei Ricevimenti

Piazza Castello – Torino

In occasione della mostra Steve McCurry. Leggere, Palazzo Madama propone mercoledì 27 marzo alle ore 17.30 un incontro con la curatrice Biba Giacchetti, che racconta come nasce una mostra di fotografia di Steve McCurry, il perché della scelta delle immagini e cosa rappresentano per l’artista. La narrazione si snoda dalle fasi iniziali della progettazione, con la selezione delle fotografie e il confronto con i luoghi e gli spazi espositivi cui sono destinate, fino al concetto di allestimento. L’intervento affronta quindi il tema della mostra Leggere, che con le sue specificità è la più diversa e originale tra le mostre strettamente tematiche di Steve McCurry.

In 69 immagini il fotografo esplora un cosmo anomalo rispetto alla sua abituale produzione. Il rapporto che ci porge non è più con il soggetto ritratto, come ci ha abituato, ma tra il soggetto e la parola scritta. L’autore ci invita a osservare quanto accade in questo universo traslato, in cui le persone abbandonano la loro realtà, anche drammatica, per essere totalmente assorbite da altro. McCurry le spia con noi, in una conferma del potere della lettura di astrarre dal presente e di condurre ogni individuo in un mondo a parte, personale e segreto.

Se tale potere è universale, le immagini di McCurry sorprendono per i contesti anomali, talvolta di guerra o di disastri ambientali in cui sono colte; troviamo scuole a cielo aperto in paesi bombardati e altri luoghi improbabili, talvolta rumorosi, dove alcune persone trovano la concentrazione per leggere, seppur contornate dal traffico cittadino; leggono rilassate sui marciapiedi, leggono perse nel loro altrove, da Cuba alla Turchia, dall’Italia all’India, dagli Stati Uniti all’Afghanistan all’Africa: libri, giornali, forse istruzioni, parole scritte, sempre stampate su carta.

Costo della conferenza: € 5; € 3 (insegnanti, studenti, Abbonati Musei) (pagamento il giorno della conferenza presso la biglietteria).

 

Ingresso fino a esaurimento posti con prenotazione obbligatoria: tel. 0114429629; madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

DAVIDEPALUDETTO: SALVATORE ASTORE, ANNI ’80

26.03 – 10.05.2019

Opening; martedì 26 marzo, dalle ore 18

Il 26 marzo 2019  davidepaludetto | artecontemporanea inaugura una mostra personale di Salvatore Astore (1957)  incentrata su un gruppo significativo di opere realizzate dall’artista nel decennio fra l’inizio degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Anni ’80 è il secondo appuntamento espositivo dopo la mostra Virus di Sergio Ragalzi, dedicato alla scena artistica di una città, Torino, che attraverso la ricerca creativa condotta in un periodo storico ricco di fermento e di contraddizioni da alcune importanti personalità ha saputo esprimere caratteri di forte peculiarità e originalità al pari di Roma e Milano e sulle quali da qualche tempo si è cominciato a fare piena luce. In galleria compaiono le celebri Calotte e i Crani-Uomo, sculture di grandi dimensioni a parete leggermente convesse, dalla forte valenza organica realizzate in quegli anni; le Anatomie Vascolari (Cervelli) pitture e opere su carta da lucido afferenti al discorso iniziato precedentemente da Astore sulle anatomie umane; un esempio di Container, scultura autoportante in ferro saldato e verniciato attraversata da una profonda saldatura simile a una frattura o a una sutura ossea; infine un piccolo nucleo di disegni con lo stesso titolo inerenti al tema delle sculture, dai quali emerge non solo l’eleganza formale del segno ma anche il carattere autonomo che questa forma espressiva ha ricoperto nell’intera produzione dell’artista. Le opere in mostra, provenienti dalla collezione privata di Franz Paludetto (esposte in permanenza al Castello di Rivara – Museo d’Arte Contemporanea) con cui l’artista ha intrattenuto un lungo rapporto professionale e da collezioni private, esemplificano perfettamente la vocazione monumentale della scultura di Astore e la determinazione a creare un vocabolario di forme forti, pure, imprescindibili e altamente riconoscibili.  Né astratte né figurative, le prime sculture in ferro saldato riproducenti porzioni craniche ingigantite e ripetibili infinite volte compaiono intorno alla metà degli anni Ottanta (1984/ 1985) anticipate da una serie di pitture sulle anatomie umane e animali (Calotte, Colonna vertebrale, Cavalli, Scimmie), mettendo in evidenza nella propria scarna e fredda essenzialità la volontà dell’artista di far emergere un linguaggio inedito, scaturito da una precisa e profonda necessità plastica, articolato in forme che sono da leggersi come pura presenza. Nel 1987 viene allestita da Franz Paludetto un’insolita e stupefacente mostra dal titolo programmatico – Immagine Eretta – all’interno dei Magazzini Gondrand a Torino. Il passaggio dall’utilizzo di un materiale povero e primario come il ferro a quello più tecnologico dell’acciaio inox accuratamente levigato e lucidato avviene sul finire degli anni Ottanta quando l’urgenza di rafforzare la relazione fra l’opera d’arte e il reale si fa più pressante e l’impulso creativo deve fare i conti con la forte accelerazione industriale e tecnologica che caratterizza quegli anni. C’è nei lavori di quel periodo una forte tensione strutturale interna alle opere unita però a un’organicità calda, evidente delle forme che subito smarcano la concezione plastica della scultura di Salvatore Astore da quella dei colleghi del Minimalismo d’oltreoceano a cui l’artista guarda con interesse.

Pur condividendo con questi ultimi l’uso di materiali industriali e l’attitudine a creare opere a forte impatto spaziale, la produzione scultorea di Astore è costantemente animata da una tensione organica strutturale, da un vitalismo eclettico delle forme anti-mimetiche, da un calore che non prescinde da una certa artigianalità manuale.  Queste sculture scrive in un catalogo di quegli anni (1989) lo storico dell’arte Francesco Poli “sono forme che risultano costruite secondo una coerenza anatomica necessaria, anche se svuotate da ogni evidente finalità funzionale: sculture in cui risuona intensa la memoria di matrici organiche e archetipiche”.

Le puntuali osservazioni di Francesco Poli inducono un’ulteriore riflessione sulla natura concettuale della ricerca artistica di questo autore. Le sculture di quegli anni, ma anche quelle tutt’ora in produzione, si sottraggono all’interpretazione di puri oggetti estetici destinati alla contemplazione e alla fruizione disimpegnata. Esse scavano un solco profondo nella memoria umana collettiva e individuale; interrogano lo spettatore sul suo passato e sul presente e finalmente si pongono come alterità enigmatica. Sono Forma e Figura e al tempo stesso nulla di tutto ciò. In fondo, solo Presenza, Forma pura, Silenzio.