Dolci tradizioni di Pasqua dal Museo delle Contadinerie di Pino Torinese

La vita è come una torta, bella da vedere, profumata, ti invita ad assaggiarla e ad assaporarla fino in fondo. A volte alcune fette possono essere difficili da digerire. Arrivano momenti, come in questo periodo, in cui c’è bisogno di rimpastare tutto, aggiungere nuovi ingredienti, attendere una lenta lievitazione, cuocere con il cuore e con la mente. Quest’anno, con l’arrivo della Pasqua, il Museo delle Contadinerie di Pino Torinese vi propone un assaggio diverso, condiviso, per tenerci un po’ compagnia e uniti nella tradizione gastronomica dei dolci fatti in casa, semplici e genuini… alla scoperta del Territorio. In Piemonte la Ciambella e Il Salame del Papa troneggiano sulle tavole pasquali con la conosciutissima Colomba oppure con le uova di cioccolato o di zucchero.

Nella tradizione contadina la Ciambella era il dolce sempre presente durante i giorni di festività sulle tavole, durante un battesimo, una comunione, un compleanno o anche durante il festeggiamento di un matrimonio.  “Il dolce delle folle”, così veniva chiamata anticamente la ciambella, concludeva le sette portate previste per le libagioni del giorno della trebbiatura del grano. Veniva servito a fette e farcito con una crema cotta nel paiolo di rame. In quegli stessi giorni, in altre regioni è tuttora usanza consumare qualcosa di molto simile: in Veneto la Fugassa, nel Trentino la corona pasquale, in Emilia la Zambela, in Umbria il Torcolo, in Molise la Treccia dolce e in Puglia la Scarcella. La sua ricetta cambia da regione a regione, paese, provincia, ma gli ingredienti base sono farina, latte, zucchero, uova, olio d’oliva o burro e lievito con l’aggiunta di altri ingredienti come cacao, yogurt, liquori e così via… Le varianti di questo dolce più diffuse sono quelle bicolore, ottenuta aggiungendo a una parte dell’impasto una polvere di cacao e di solito la ciambella viene decorata in superficie con lo zucchero a velo. Lo stesso dolce può presentarsi anche con nomi diversi, come la Tirà, una soffice torta a forma di ciambella dalle origini antiche, che viene prodotta a Rocchetta Tanaro, in provincia di Asti. Il termine Tirà deriva dalle Feste dei giovani che venivano chiamati alla leva durante il Regno di Sardegna. Con “Al Tiràj” o ”I tiràgi” si andavano a indicare “ i numeri tirati” ossia  le nuove reclute sorteggiate ogni anno. Il contingente dei giovani coscritti, al compimento dei 21 anni di età, veniva selezionato e ripartito in base al sorteggio di un numero, che stabiliva la categoria e la durata del servizio militare.

Una prassi che si mantenne anche dopo la Restaurazione del 1815 e fino al 1926.  Nella zona del Monferrato, dove le tradizioni savoiarde erano molto sentite, i festeggiamenti e le celebrazioni per queste feste duravano diversi giorni e coinvolgevano tutta la comunità.

Questo ciambellone veniva preparato in grandi quantità con la farina con cui si faceva quotidianamente il pane, con l’aggiunta di altri ingredienti contadini e dello zucchero, che veniva utilizzato per cospargerlo sulla torta. La torta veniva consumata con il migliore vino, il quale doveva essere stato prodotto nell’anno di nascita della recluta, messo da parte e imbottigliato dalla famiglia, per poi essere stappato e bevuto con gli amici nel giorno della festa di leva. Al giorno d’oggi la Tirà si prepara con farina di frumento, zucchero, latte, burro, tuorli d’uovo, lievito di birra e un pizzico di sale. Una preparazione più semplice e poco conosciuta, ma non per questo meno squisita e delicata, tipica dell’area compresa tra Moncrivello, Villareggia, Borgomasino, Cigliano e Mazzè, e di altri paesi a cavallo tra le province di Torino e Vercelli, è l’ansenta (oppure j’ansenti): un po’ ciambella, un po’ focaccia. L’ansenta è un delizioso dolce familiare, generalmente fatto in casa, o nei forni di cascina, appositamente destinato alle giornate di festa. Con un po’ di pazienza, le ansente si possono ancora trovare in alcune antiche panetterie di paese, dove l’atavica tradizione di prepararle non si è ancora spenta del tutto. La parola “ansenta”, pronunciata a seconda dei paesi anche ansàinta o ansèinta, è un termine piemontese che significa “incinta”. In effetti, le ansente sono delle ciambelle dalla forma vagamente a suola di ciabatta, smussate ai lati, e talvolta leggermente più strette al centro. Cotto al forno, l’impasto si rigonfia, rendendo la superficie irregolare, lustrata con il rosso dell’uovo e cosparsa di zucchero. I rigonfiamenti in superficie ricordano vagamente le pance tondeggianti delle donne incinte. C’è pure chi ritiene che il termine ansenta sia una deformazione del termine francese anisette: in effetti non mancava chi spargeva la superficie delle ansente con una spolverata di semi di anice. Ma la versione più accreditata della derivazione del termine resta la prima.

Un tempo le ansente venivano preparate in occasione delle grandi feste: per i festeggiamenti del Santo patrono, e per le più importanti ricorrenze religiose nel corso dell’anno, ed erano destinate a concludere il pasto in allegria, magari intingendole in un buon bicchiere di passito di Caluso o di Moncrivello. Proprio a Moncrivello, nella sua bottega posizionata sulla piazza più centrale del paese, a due passi dal castello, e dove si erge il monumento ai Caduti, il compianto titolare, detto ël Carlito, proponeva delle ansente di sua produzione dal sapore eccezionale, che con le sue impareggiabili paste ’d melia, costituivano una ghiottoneria che allietava il fine pasto delle famiglie del paese radunate attorno al desco domenicale. Oggi è un po’ più difficile trovarle, vista la produzione circoscritta soprattutto nell’ambito familiare, ma se le doveste vedere occhieggiare su di vassoio d’una panetteria di uno di questi incantevoli paesi, non fatevele scappare: le ansente sono indicatissime a colazione, in alternativa alle più sofisticate brioches e possono essere proposte ai vostri bambini come una deliziosa e insolita merenda dal sapore antico. Resteranno stupiti nel vedere la loro insolita forma, e si leccheranno le labbra dopo averle assaggiate! Ma come è nata la ciambella? Tanto tempo fa viveva a Madrid un pasticcere di nome Leone Ciambelli. Questo pasticcere era famoso in tutto il mondo per le sue torte a base di pan di Spagna. Ciambelli partecipava spesso a gare di dolci e le vinceva tutte. Per questo motivo, custodiva gelosamente la ricetta della sua famosa torta. Purtroppo un giorno il suo più agguerrito rivale riuscì a rubargli la ricetta ed inoltre, il giorno della gara, mandò il proprio figlio a rovinare la torta di Leone. Il bambino di nome Osvaldo, disegnò al centro della torta una “O” come la lettera iniziale del suo nome. Leone vedendo la torta con il buco al centro rimase profondamente turbato. Sicuro di perdere la gara, pianse amaramente. L’idea della torta col buco al centro piacque invece tantissimo alla giuria, che gli assegnò, anche per questa volta, il primo premio. È proprio in onore di Ciambelli Leone che il dolce fu chiamato “ciambellone”.  Numerose altre leggende si contendono invece il perché sia nato il buco all’interno della Ciambella. Sono principalmente due le storie più note tanto da finire come protagoniste del Great Donut Debate. La prima storia risale al 1916, quando un reporter che faceva parte del Boston Port intervistò Hanson Crockett Gregory, che spiegò come gli venne in mente l’idea di fare un buco nelle frittelle durante il periodo in cui faceva il marinaio. Lui rispose che all’età di soli quindici anni era ormai stanco di mangiare un dolce buono all’esterno, ma che aveva molte volte un cuore di impasto crudo al centro, così ebbe l’idea di fare un buco al centro prima di cuocerle. Così la storia venne ripresa dai diversi giornali del paese e si diffuse e fece diventare il signor Hanson famoso. La seconda storia legata all’origine di questo dolce è quella che vede come protagonista un capo di una tribù indiana: Capo Aquila alta, della tribù dei Wampanoag. Durante l’inseguimento di un colono, che fuggendo teneva stretta in mano una frittella, il capo, allora ragazzo, lanciò una freccia che scavò il buco all’interno del dolce, dando così vita al concetto della ciambella forata che conosciamo oggi.

Il secondo dolce è il Salame del Papa. È un dolce tanto semplice quanto gustoso e facile da preparare, perché non richiede cottura. Impiega gli ingredienti tipici della regione, e cioè il burro, le pregiate nocciole ed il cacao. Dopo averlo modellato a forma di salame viene messo in frigo a consolidarsi e viene servito tagliato a fette.  Sempre la tradizione popolare dice che quando una mangia bene, ‘mangia da Papa’. E forse proprio da questo prende il nome questo dolce della zona delle Langhe. Un salame dolce, che unisce sapori intensi come quelli del cioccolato, delle nocciole e degli amaretti. Una volta era servito quando arrivavano ospiti, accompagnato da un bicchierino di Vin Santo. Adesso potete prepararlo quando volete e servirlo alla fine di un pasto e più che mai in questo periodo i bambini saranno felicissimi di prepararlo insieme a voi!

Per 4 persone: 150 gr di biscotti secchi, 100 gr di zucchero, 100 gr di burro, 1 uovo, 50 gr di cacao amaro in polvere, 3 cucchiai di rhum, 1 cucchiaio di Marsala.

Con una frusta elettrica montare il burro ammorbidito con lo zucchero fino a ottenere un composto morbido e cremoso. Incorporare l’uovo e il cacao che si farà scendere a pioggia da un colino in modo che non si formino grumi. Infine aggiungere i biscotti che saranno stati pestati ottenendo delle briciole grosse. Amalgamare bene con un cucchiaio di legno e insaporire tutto con il rhum e il marsala. Formare un salame e avvolgerlo nella pellicola trasparente. Farlo rassodare in frigo per almeno 6 ore e prima di servire tagliarlo a fette.

Nella speranza di avervi regalato qualche dolce momento, le curatrici colgono l’occasione per Augurare a tutti i lettori Buona Pasqua!  Vi aspettano al più presto al Museo!

Chiara e Flavia