RICORDO DI SILVANO GHERLONE: GALLERISTA E CULTORE D’ARTE

Silvano e Rosanna Gherlone

Gallerista, esperto d’arte, personalità della Torino tra gli anni Settanta e il 2004, Silvano Gherlone è scomparso domenica 11 luglio, lasciando un vuoto nell’ambiente che aveva lungamente frequentato e amato. Nato a Torino il 26 gennaio 1931, ha sviluppato un’intensa e qualificata attività all’interno dell’arte figurativa e fantastica con incontri, mostre personali e collettive promosse nell’accogliente spazio espositivo della centralissima Galleria Davico, in Galleria Subalpina 30. Una galleria che ha rappresentato una parte non indifferente della cultura torinese con il nome del fondatore “Davico”, come ha suggerito Bruno Gambarotta, e, in particolare, con il signorile impegno di Silvano Gherlone e, successivamente, con il gallerista e collezionista Emilio Gargioni, recentemente scomparso (in società con Renata Lattes, figlia del pittore e scrittore Mario Lattes) che ha affermato “noi che amiamo la pittura frutto di un mestiere eccelso, con una storia ogni volta diversa”. E in questa angolazione, la storia di Silvano Gherlone si snoda attraverso le figure di Tabusso e Kiki Macciotta, Italo Cremona e Soffiantino, Colombotto Rosso e Alessandri, creando nelle sale della galleria un punto di riferimento per parlare d’arte e confrontarsi con i problemi del settore, per trasmettere gli aspetti della cultura visiva tra Abacuc (Silvano Gilardi) e Giuseppe Bergomi, Velasco Vitali e Pontecorvo. Gli scambi culturali con la Galleria Forni di Bologna, le iniziative dell’Apgam (Associazione Piemontese Gallerie d’Arte Moderna), le vicende legate al mondo del calcio (il Torino, la grande passione), costituiscono altrettanti momenti della sua esperienza quotidiana. La galleria era, infatti, il suo mondo con le preziose incisioni di Calandri e Vincenzo Gatti, i metafisici paesaggi di Gregorio Calvi di Bergolo e gli acquerelli della Lequio, sino alle ricerche di Piero Gilardi, Alfredo Billetto, Giorgio Ramella e dello scultore Riccardo Cordero. Un lungo percorso, quindi, condotto con estrema misura, legato a una realtà continuamente rivisitata e aggiornata, scandita da una stagione irripetibile con la delicatezza poetica di Eandi e i miti di Theimer, l’essenza compositiva di Saroni, Ruggeri e Aimone e le pagine pittoriche di Fico, Campagnoli, Casorati e Chessa. Da questa estrema sintesi emergono le personalità di Andrea Barin e Sabatino Cersosimo (con il quale era nata una costruttiva collaborazione), di Om Bosser e Bertello, di Balzola, Proverbio e Ottavio Mazzonis, che appartengono, con Pino Mantovani, al racconto della “Davico”. E sono personaggi e artisti presenti, di volta in volta, ai vernissage: da Aime a Titti Garelli, da Sandro Lobalzo a Borga e Faravelli, Capello, Seveso, Jervolino, Perugia, Taliano, Franco Fanelli, Sergio Albano e lo scultore Omedè, Spessot, Saccomandi e le favole di Fabrizio Riccardi. Un elenco che riporta alla memoria amici ed estimatori di Gherlone, pittori e scultori, incisori, con pregevoli cartelle di grafica, e interpreti di immagini impreziosite dalla luce atmosferica. E’ anche il ricordo della Torino con gli storici circoli culturali e i caffè letterari, i giardini e la sottile nebbia che avvolge la città in una sorta di intima narrazione: “Fu qui, in questo caffè, che ti parlai,/ fuori era neve, un vigile sospeso muoveva con le mani la strada (…)Guardo il vento pei portici, le luci/ laggiù un tiepido verde attira i passi/ di donne ben vestite (Giovanni Arpino, da “Torino, via Roma”, Mondadori, 1957).

 

                                                Angelo Mistrangelo