LE PERLE NERE DELLA MUSICA a cura di Edoardo Ferrati

LEGGENDE TENORILI- Franco Corelli (1921-2003)

Corelli con Maria Callas

Nome d’arte di Dario Corelli, dopo il diploma come geometra, trovò impiego presso il Comune di Ancona, sua città natale. Decise di dedicarsi al canto con la frequentazione del “Circolo Dorico”, attivo presso il Teatro delle Muse (oggi a lui intitolato). Allievo di Arturo Melocchi al Conservatorio di Pesaro, nel ’50 venne ammesso a un corso di perfezionamento al Teatro Comunale di Firenze, l’anno successivo vinse il Concorso del Teatro Sperimentale “A. Belli” di Spoleto dove esordì nella Carmen (don José), manifestando così la sua prevalente vocazione per i ruoli di genere lirico-spinto e drammatico. Il suo primo incontro con Maria Callas risale al 1953 (Roma) al fianco della quale fu protagonista alla Scala di spettacoli ormai entrati nella leggenda. Nel teatro milanese fu attivo per un decennio: La fanciulla del west (Dick Johnson). Andrea Chénier, Il trovatore (Manrico). Aida (Radames), Ernani, I pagliacci (Canio). Esordì nel 1961 al Metropolitan di New York (Il trovatore) dove partecipò a 369 rappresentazioni che registrarono la loro conclusione nel 1975. Attivo anche in importanti sedi: Comunale di Firenze, San Carlo di Napoli, Arena di Verona, Opera di Roma, Covent Garden di Londra, Sa Carlos di Lisbona, Liceu di Barcellona. Ultima recita nel 1976 con La bohème a Torre del Lago e l’addio definitivo al canto nel novembre 1981 con un recital a Stoccolma.

Corelli è stato per meriti vocali e valenze interpretative una delle massime figure tenorili nella seconda metà del Novecento. Seppe abbinare un registro centrale ampio ad acuti sfolgoranti che venivano sempre piegati a belle modulazioni, nonostante un materiale vocale di non facile gestione proprio per il grande volume e, in origine, non privo di asprezze e disomogeneità. Eccelse nel repertorio lirico-spinto e drammatico, con puntate nel repertorio del tenore romantico ottocentesco di forza del quale, prima della redazisua comparsa, si era persa la memoria .Quando affrontò opere come La vestale(Licinio) di Spontii, Poliuto di Donizetti, Gli Ugonotti (Raoul) di Meyerbeer, che imponevano un cambio di tecnica per accedere alle note estreme, riuscì a compiere un miracolo unendo la vocalità baritonale e tenorile estesa ai sopracuti. Questo accadde grazie agli insegnamenti di Giacomo Lauri Volpi.

La discografia di Corelli, per fortuna, è ampia e ricopre l’intero percorso della sua carriera artistica (1953-73) con la presenza di medesimi titoli ripresi anche a distanza di anni sia in versione live che in studio. Da questo folto catalogo seleziono alcuni ruoli che il tenore marchigiano affrontò in centinaia di repliche. S’inizia con don José (Carmen) cantato con impeto senza alcun problema nella distribuzione dei fiati con belle smorzature e filature che diventano sensualità allo stato puro. Altro ruolo icona fu Pollione (Norma) dove si ascolta una voce di eccezionale veemenza che riesce ad esprimere tutta la tracotanza del conquistatore romano. Voce ideale per il fraseggio che il ruolo richiede scultoreo e dominato con trascinante fascino. Poi, Radames (Aida) delineato con sorprendente prestazione psicologica, dimostrando di come si possa cantare anche con il cervello, non solo con il cuore. Una verifica di come la tecnica non sia fine a se stessa  circa il bel suono e l’acrobazia vocale, ma il mezzo attraverso cui l’interprete conquista le proprie intenzioni espressive. Grande prestazione fu Andrea Chénier, ritenuto per antonomasia il ritratto del poeta giordaniano. La voce è di tenore eroico in grado di piegarsi all’abbandono nelle oasi liriche. Il ruolo è massacrante per l’impressionante serie di Si bemolle disseminata a piene mani  .Corelli ci ha lasciato un esempio di come il ruolo di Canio (I pagliacci), costruito su passionalità, invettiva, imprecazione e grida, possa essere cantato senza eludere il bel canto: un Canio in cui domina la disperazione sulla rabbia. Dick Johnson (La fanciulla del west) è reso in modo aggressivo, spregiudicato e generoso: tre aggettivi sufficienti per ascriverlo come il più grande bandito pucciniano apparso sulla scena.

Di rilievo anche la sezione dedicata  al genere del recital che  racchiude selezioni da opere intere e le romanze più celebri: assolutamente da non perdere i lives del 1962 e quelli in studoi del ’61.Sono reperibili documenti visivi (tutti in b/n)  realizzati dalla RAI con scarsità di mezzi, ma con grande impegno e passione(1954/72): I pagliacci, Tosca, Carmen, Turandot, La forza del destino, Adriaana Lecouvreur, Andrea Chénier che testimoniano di una presenza scenica che mandava in estasi il pubblico femminile. Altri lives da ricordare: Don Carlo, Cavalleria rusticana, Romeo e Giulietta di Gounod, Werther. In tutto questo bendidio

emerge la grandezza di un cantante che ha segnato la “golden age” del melodramma.

(2.continua)