PIEMONTE x CURIOSI – Falabrac: significato del termine piemontese dalle origini Medievali

Qual è il significato di “Falabrac”? Storie, leggende e origini del termine piemontese dalle radici Medievali

 

Ogni piemontese che si rispetti ha pronunciato o udito almeno una volta nella vita il termine Falabrac, ma qual è il suo vero significato e quali sono le sue origini? Per scoprirlo, occorre tornare indietro nel tempo fino al Medioevo, intorno all’anno 1170. La parola nasce da una trasposizione del termine francese Fier-à-Bras (noto anche come Fierabras), un personaggio immaginario protagonista della “Chanson de Fier-à-Bras”, una delle più popolari dell’epoca.

La storia della canzone è la seguente: il re saraceno Balan e suo figlio Fier-à-Bras alto 15 piedi (4,6 metri) tornano in Spagna dopo aver saccheggiato la chiesa di San Pietro a Roma, portando con loro le reliquie della passione di Cristo. Carlo Magno invade la Spagna per recuperare le reliquie e manda il suo cavaliere Olivier de Vienne, compagno di Roland, a combattere Fier-à-Bras.

Una volta sconfitto, il gigante decide di convertirsi al cristianesimo e si unisce all’esercito di Carlo Magno, ma Olivier e molti altri cavalieri vengono catturati. Floripas, sorella di Fier-à-Bras, si innamora di uno dei cavalieri di Carlo Magno, Gui de Bourgogne. Dopo una serie di avventure, Carlo Magno uccide re Balan, divide la Spagna tra Fier-à-Bras e Gui de Bourgogne (che sposa Floripas). Subito dopo, torna a Saint Denis con le sacre reliquie.

In lingua francese, il termine Fier-à-Bras sta ad indicare persona che è solita vantarsi delle sue capacità, senza in realtà saper fare nulla. In piemontese, invece, il suo significato è leggermente diverso.

Da Cavaliere a sciocco nella città di Torino

Nel capoluogo piemontese, il termine Falabrac sta a indicare un fannullone, uno stupidotto. Venne perfino usato da Alberto Viriglio in un suo celebre scritto.

Quando nel 1865 Torino perse il ruolo di Capitale, la città vide un momento di crisi economica e di identità: la sua popolazione diminuì da 220.000 a 193.000 abitanti. Numerosi negozi, botteghe e caffè decisero di chiudere. Anni dopo, Viriglio commentò quel periodo: “Turin a l’a përdù ‘nt ël 1865 ij batàjôn ‘d falabràch che a fôrmavô la vita fitìssia dla Sità e la pôpôlassiôn d’ij café”. Tradotto, scrisse: “Torino ha perso nel 1865 le legioni di sciocchi fannulloni che formavano la vita fittizia della città e popolavano i caffè”.

Marco Sergio Melano