CURIOSITA’ NOVARESI 34. IL GOVERNO OLIGARCHICO E LA LEGGE SUL LUSSO

Castello di Novara

Parlare della legge sul lusso, che venne approvata e dopo breve tempo abrogata nel XVI° secolo, ci porta a conoscere la Novara di quei tempi, nel suo contesto storico, sociale ed economico. Novara nel XVI° secolo e precisamente nel 1538 diventa marchesato dei Farnese, anche con diritto di battere moneta, con disposizione dell’imperatore Carlo V. Era diventata feudo imperiale, senza che per questo gli Spagnoli abbandonassero il castello, dove mantenevano il loro presidio (nella foto il Castello oggi). Novara restò ai Farnese fino al 1602 (con un breve intervallo tra il 1547 e il 1557 circa), quando tornò interamente spagnola. Il governo della Novara del XVI secolo, in quest’epoca, era gestito da una oligarchia di antiche famiglie nobili. Il consiglio generale era costituito da 60 membri, chiamati decurioni, e il diritto di voto, assegnato alle famiglie nobili, era chiamato “voce”. Tra le attività testimoniate in quei tempi vi sono le professioni nobili dei notai, degli speziali, dei fisici, dei letterati e dei pittori, ma anche quelle meno nobili della tessitura, delle calzature e degli artigiani in genere. Malgrado il rilievo assunto nei secoli precedenti dalle corporazioni e in particolare da quella dei Calzolai, erano comunque sempre soprattutto i nobili, proprietari terrieri, a comandare.

Palazzo del Podestà e antico Palazzo dei Paratici nella grafica di Sergio Cominetti

Nel 1558 il governo della Città era formato da gentiluomini o nobili (probabilmente 30, la metà del Consiglio), dottori del Collegio (10 consiglieri) e borghesi (20 consiglieri), che rappresentavano la classe dei piccoli proprietari, bottegai ed artigiani.

Nel 1574 il consiglio approvò una contestatissima legge sui costumi della vita di quei tempi. In applicazione di questa legge solo gli appartenenti a famiglie nobili potevano indossare pellicce, vesti lussuose e gioielli e avere una alimentazione ricca. La disposizione era nel contesto di un programma di controllo dei lussi, così da evitare la fuoruscita del denaro, ma creava gravi ingiustizie. Era appena stata approvata dal Consiglio, quando contro di essa si scatenò l’opinione pubblica. I mercanti danneggiati e i borghesi costretti nel vestiario a distinzioni umilianti, si agitarono. Molte furono le proteste e molte le dimostrazioni e gli assembramenti, anche pericolosi e anche sulla pubblica piazza, dinanzi al palazzo del Podestà (nella foto l’angolo del Broletto, nel cortile interno, che comprende il Palazzo del Podestà a destra e quello che fu il Palazzo dei Paratici o Corporazioni a sinistra, in una grafica di Sergio Cominetti). Fu lo stesso Podestà a sospendere l’applicazione della legge, che fu quindi abrogata. Ecco cosa scriveva, al proposito, Augusto Lizier in “Miscellanea Storica Novarese” del 1906: “Degli abiti di seta, degli ornamenti d’oro e d’argento, veniva limitato l’uso, e concesso solamente alle donne appartenenti alla classe nobile. Alle altre donne, dalle mogli dei “merzari” (e per merzaro si intendeva venditore di merci in genere, perché il “mercador draporum”, cioè il mercante di stoffe era considerato, diremmo noi, di una categoria più elevata) in giù non venivano concessi che vestiti di panno e di saio, niente oro, argento o pietre preziose. Altrettanto succedeva per gli uomini: quelli che avessero potuto provare la loro nobiltà nel modo necessario per essere ammessi nel Collegio dei Dottori, potevano portare zebellino, volpe e altre pelli, che erano vietate agli altri”.

Casa Canobio

Questa legge aveva comunque rappresentato uno dei tentativi delle famiglie nobili di reagire contro l’ascesa della classe borghese e contro quel movimento a carattere popolare che aveva ottenuto risultati sotto Carlo V. Gli aristocratici avevano ricuperato sicurezza e autorità, come dimostrano, intorno al 1570, gli statuti rinnovati del collegio dei giudici, che ne consentivano l’accesso alle sole persone provenienti da famiglia nobile da almeno 100 anni, con “voce” in consiglio da almeno quarant’anni, che non avessero mai esercitato, né esse né i loro antenati, “arte vile” e fossero inoltre residenti in città da almeno quarant’anni, ove pagassero regolarmente le tasse. Questi statuti furono approvati dal senato di Milano solo nel 1592. Erano forse le ultime conseguenze di una situazione economica europea preoccupante; le cospicue quantità di oro provenienti dalle nuove terre, recentemente scoperte e colonizzate e immesse in un breve lasso di tempo sul mercato europeo, avevano determinato una caduta delle monete, con relativo aumento dei prezzi. La crisi colpiva soprattutto le classi legate ai redditi delle coltivazioni delle campagne, mentre chi era in possesso di denaro investiva soprattutto nell’acquisto delle terre. Così avveniva ad esempio per i mercanti e i finanzieri che, dopo essere diventati proprietari terrieri, cercarono di collocarsi tra i membri delle vecchie famiglie nobiliari, sedendo con essi in Consiglio. Classico esempio di questa nuova classe di ricchi, a Novara, sono i Canobio, che, soprattutto attraverso le benefiche istituzioni di Amico, erede del patrimonio famigliare, lasceranno un segno importante nella storia novarese dei secoli successivi. I Canobio erano una famiglia originaria di Cannobio, che doveva aver fatto fortuna a Milano e in Lomellina, prima di trasferirsi a Novara nella grande casa signorile, tuttora esistente, in piazza delle Erbe (piazza Cesare Battisti), che vediamo come si presenta oggi nella fotografia accanto riprodotta.

Enzo De Paoli