CHIERI. SORPRESE DI ARTE E DI STORIA. Un’altra pietra tombale dalla storia sorprendente

Nella prima cappella della navata destra del Duomo di Chieri, affissa verticalmente alla parete c’è un’antica pietra tombale. Vi è raffigurato, disteso e con il capo poggiato su un cuscino, un personaggio in vesti spagnoleggianti.  All’altezza delle ginocchia si notano due stemmi: quello di sinistra è ormai illeggibile; in quello di destra sono ancora visibili tre dei sei fiori di cardo che caratterizzano lo stemma dei Biscaretti. Sul bordo compaiono frammenti di una scritta:  “Sarcophagum…  posteris restaurando paravit anno Domini 1572  Biscaretus Vallisoleti Regius Rector ac Civis”. È evidente che si tratta della tomba di un Biscaretti, il cui  nome proprio, però, è scomparso. Lo rivela come Bernardino una lapide collocata sulla parete di fronte: “ Al patrizio chierese Bernardino Biscaretti, per trent’anni illustre uomo di corte di Filippo II re di Spagna e regio governatore e cittadino di Valladolid, il quale, ricoprendo con grande saggezza la carica di collaboratore dell’augusta imperatrice Maria, ha lasciato grandi esempi di energia e per ricompensare gli affetti della patria nell’anno del Signore 1572, ha scelto questa cappella, da lui ornata e munita di dote, quale perpetuo sepolcro per le ceneri sue, dei suoi posteri e dell’ottimo fratello Bertone Biscaretti, già prefetto dell’Annona Militare di Cesarea. Gli ossequientissimi Bartolomeo Ottavio e Roberto Biscaretti, nipoti per parte del fratello, posero”.

Come mai queste due lapidi sono finite in questa cappella dove non sono mai state, sebbene essa dal 1648 appartenga alla famiglia Biscaretti? Il mistero è presto spiegato.

Fino all’inizio dell’Ottocento a Chieri è esistita la chiesa di San Francesco d’Assisi,  che sorgeva sul sito dell’odierna piazza Dante. In essa, il coro era di patronato della famiglia Biscaretti, che l’aveva trasformata in mausoleo di famiglia costruendovi varie tombe, alcune delle quali monumentali. Durante il regime napoleonico anche quella chiesa e l’attiguo convento, come tutti gli altri, vennero soppressi e venduti all’asta. Gli acquirenti “risparmiarono” il convento, che poi sarebbe diventato Palazzo Municipale. Invece, dopo aver recuperato il recuperabile, compresi i marmi che ritennero più preziosi, demolirono la chiesa per ricavarne materiali da costruzione. Da quel tragico momento passarono un paio di decenni, e il 13 ottobre 1836 gli operai che scavavano per sistemare piazza Dante si imbatterono nella pietra tombale di cui trattiamo, che evidentemente era stata scartata e interrata per evitare la fatica e la spesa del trasporto. Sembrò logico portarla in Duomo e sistemarla nella cappella appartenuta, e nominalmente ancora appartenente, ai  Biscaretti. Ben settanta anni dopo, nell’agosto del 1909, il numero 34 del settimanale L’Arco riferiva  che, nei pressi della chiesa di San Bernardino, effettuando degli scavi per la sistemazione di via Michele Diverio, in corrispondenza dell’abitazione del signor Francesco Masera era stata trovata l’altra lapide, che era stata riutilizzata nientemeno che per la copertura di un pozzo nero. Il numero 38 dello stesso giornale annotava: “Mercoledì è stato dal nostro sindaco il senatore Biscaretti per la lapide funeraria di un suo antenato, scoperta, come è noto, negli scavi di via Michele Diverio. Egli la farà collocare in Duomo presso il bassorilievo che rappresenta un Biscaretti e si crede anzi lo stesso cui la lapide è dedicata”.