CURIOSITA ‘ CHIERESI. I “garzoni” veneti, molto prima dell’alluvione del Polesine del novembre 1951
Che un gran numero di Chieresi sia di origine veneta, tanto che alcuni quartieri della città hanno preso il nome di Borgo Padova e Borgo Venezia, è risaputo. Ma se si domanda quando abbia avuto inizio l’immigrazione veneta a Chieri, quasi tutti sono convinti che esso coincida con l’alluvione del Polesine del novembre 1951. Perché tutti hanno fisso nella memoria come in quella data, in seguito ad un periodo di piogge eccezionali, il Po abbia rotto gli argini allagando gran parte del territorio della provincia di Rovigo, il Polesine, costringendo circa centomila persone ad abbandonare le loro terre e cercare rifugio in altre regioni italiane, specialmente in Piemonte. A Chieri, i primi 68 arrivarono il 29 novembre, altri ne seguirono nei giorni successivi, ricoverati alla Pace, all’Ospizio, all’Orfanotrofio, alla San Vincenzo, all’Ospedale, alla villa La Luigina e molti anche presso famiglie private. Moltissimi altri arrivarono nei mesi e negli anni successivi.
Tutto vero! Si tratta di cose che tutti, e specialmente i Chieresi di origini venete, sanno perfettamente e non dimenticano. Ma la domanda non era questa. La domanda era: “quando ha avuto inizio l’immigrazione veneta”? Ebbene, essa ha avuto inizio molto prima del 1951. Decenni prima di quella data era iniziata, e si era consolidata, una prima forma di immigrazione: quella dei ragazzi veneti che venivano a lavorare in Piemonte come “garzoni” nelle cascine. Tarcisio Pelosin, nella sua autobiografia, racconta che il padre Pietro fu uno di essi, venuto “a garzone” in Piemonte quando aveva solo dieci anni. Si trattava di lavoratori stagionali che, anche a piedi e in bicicletta, venivano in primavera e tornavano al paese d’origine in autunno, dopo la conclusione dei principali lavori agricoli. L’alloggio veniva loro fornito dal datore di lavoro, ma il problema era trovare una sistemazione per i primi giorni, quando erano ancora alla ricerca della cascina presso la quale andare a lavorare. In questo erano assistiti dalle ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, fondata nel 1944) di Padova, Treviso e Vicenza, che si preoccupavano di metterli in contatto con sacerdoti di Chieri, e segnatamente con i religiosi Vincenziani del convento della Pace.
Tale realtà, durata diversi anni, ad un certo punto si tramutò in qualcosa di diverso: questi “garzoni” cominciarono a funzionare come “apripista”. Tanti altri Veneti negli anni successivi incominciarono a prendere la strada del Piemonte non più per lavorarvi come braccianti ma per stabilirvisi insieme alle rispettive famiglie come mezzadri o come affittuari, e in seguito anche come operai. Il padre di Tarcisio Pelosin , ad esempio, volendo risparmiare ai figli la dura esperienza del lavoro da “garzoni” da lui sperimentato, nel 1940 prese in affitto una cascina appartenente a Francesco Fasano. La stessa cosa fecero tanti altri. Un processo al quale l’alluvione del Polesine dell’autunno 1951 non fece che dare un impulso eccezionale.
Antonio Mignozzetti