Vendere oro in Italia: regole, permessi, IVA e antiriciclaggio spiegati beneChe cosa copre davvero la “vendita di oro”
In Italia “vendere oro” non è un’etichetta generica: cambia molto a seconda di che cosa stai cedendo. La categoria che fa più differenza è l’oro da investimento: lingotti o placchette di almeno 1 grammo con purezza pari o superiore a 995‰ e alcune monete d’oro che rispettano requisiti precisi (purezza, data di conio, corso legale, prezzo vicino al contenuto intrinseco) e che vengono ricomprese in un elenco pubblicato dall’UE. Questo tipo di oro gode di un regime IVA speciale e, per i privati, le eventuali plusvalenze possono essere tassate. Diverso è il materiale d’oro destinato a usi industriali (purezza ≥325‰) o i semilavorati, che seguono regole IVA differenti (reverse charge). E poi ci sono i gioielli usati: non si considerano “oro da investimento” e ricadono nel perimetro dei “compro oro”, con obblighi di identificazione, scheda e tracciabilità dedicati. Le pietre preziose (diamanti, ecc.) restano invece fuori da queste regole. Tutto questo discende dalla Legge 7/2000, che ha recepito il regime europeo sull’oro da investimento e fissato le definizioni operative.
Nel 2025 cambia anche la governance: gli operatori professionali in oro (OPO), storicamente vigilati dalla Banca d’Italia, passano all’OAM. È stato istituito un Registro OPO presso l’Organismo, con apertura dei servizi telematici dal 17 aprile 2025. Chi opera professionalmente nel settore deve verificare di essere iscritto e in regola con i nuovi requisiti.
Sei un privato e vuoi vendere oro? Cosa succede davvero
Se porti gioielli usati in un negozio “compro oro”, l’operazione viene registrata in modo preciso: prima di tutto vieni identificato, poi l’esercente compila la scheda dell’operazione con descrizione dettagliata, valore, mezzo di pagamento, foto degli oggetti, data e ora, e rilascia una ricevuta riepilogativa. Questi passaggi, stabiliti dal D.Lgs. 92/2017, non sono formalità: servono a garantire la tracciabilità e a prevenire riciclaggio e ricettazione.
Se invece vendi oro da investimento (un lingotto o una moneta qualificata) a un operatore, entra in gioco la fiscalità. Le eventuali plusvalenze sono tassate al 26% come “redditi diversi”. La questione decisiva è se puoi documentare il costo di acquisto. Se sì, l’imposta si applica solo sulla differenza tra prezzo di vendita e costo; se no, la prassi prevede la tassazione sull’intero corrispettivo. La Risposta n. 1/2025 dell’Agenzia delle Entrate ha confermato che la mancanza di documentazione comporta una tassazione più pesante. Esempio: vendi a 3.000 € un lingotto acquistato a 2.400 € e documentato → plusvalenza 600 €, imposta 156 €. Senza prova del costo, l’imposta si applicherebbe su 3.000 €.
Un errore frequente è credere che i gioielli possano essere trattati come oro da investimento: non è così. I gioielli restano oggetti preziosi usati e seguono regole diverse. In caso di dubbi (ad esempio, oggetti smontati o rottami), fatti chiarire dall’acquirente come verrà qualificata la transazione e conserva la ricevuta.
Se vuoi più informazioni e sei interessato alla vendita di oro usato a Roma, MVS Gioielli è ciò che fa al caso tuo.
“Compro oro”: come si opera senza rischi
Per aprire ed esercitare un’attività di compro oro non basta un’insegna: serve l’iscrizione al Registro OAM e la licenza di pubblica sicurezza prevista dal TULPS. L’attività è soggetta a regole molto precise di tracciabilità: identificazione del cliente prima di ogni operazione, pagamenti tracciabili a partire da 500 €, uso di un conto corrente dedicato, compilazione di una scheda dell’operazione con descrizione, valore, mezzo di pagamento e foto degli oggetti. Le violazioni sono gravi: l’esercizio senza iscrizione è considerato reato e comporta reclusione da 6 mesi a 4 anni e multa da 2.000 a 10.000 euro. La logica è chiara: si tratta di un settore ad alto rischio di riciclaggio e serve una tracciabilità totale di chi vende, cosa vende e come viene pagato.
Operatori professionali in oro (OPO): le novità 2025
Dal 17 gennaio 2025 è in vigore il D.Lgs. 211/2024, che ha trasferito la vigilanza sugli OPO dalla Banca d’Italia all’OAM, con la creazione del Registro OPO. Dal 17 aprile 2025 l’OAM ha attivato i servizi di registrazione e iscrizione. Gli operatori devono iscriversi e aggiornare le proprie posizioni. Restano invariati gli obblighi in materia di antiriciclaggio e di dichiarazioni oggettive di operazioni in oro da inviare alla UIF tramite il portale Infostat-UIF. Nel 2025 la UIF ha aggiornato le soglie: devono essere dichiarate le operazioni singole pari o superiori a 10.000 €, e anche i cumuli mensili con la stessa controparte quando ogni operazione supera i 2.500 € e il totale mensile raggiunge 10.000 €. Gli OPO e i compro oro condividono lo stesso obiettivo di trasparenza, ma si differenziano per tipologia di clientela, natura dell’attività e interlocutori istituzionali.
IVA sull’oro: quando è esente e quando scatta il reverse charge
L’oro da investimento beneficia dell’esenzione IVA prevista dall’art. 10, n. 11 del DPR 633/1972, in attuazione della Direttiva europea 98/80/CE. Il cedente può però optare per l’imponibilità in alcuni casi; quando ciò avviene – e per tutte le cessioni di materiale d’oro o semilavorati con purezza ≥325‰ – si applica il meccanismo del reverse charge: l’IVA non viene addebitata dal venditore, ma è il compratore soggetto IVA a integrarla e versarla. È importante distinguere: un lingotto 999,9‰ destinato all’investimento rientra nell’esenzione (salvo opzione), mentre un semilavorato 750‰ o una lamina industriale ricadono nel reverse charge. I gioielli usati, invece, non rientrano in nessuno dei due regimi e seguono la disciplina dei compro oro.
Antiriciclaggio e contante: due soglie da non confondere
Nel 2025 il tetto generale al contante è di 5.000 euro. Oltre questa cifra, tra soggetti diversi, si devono utilizzare mezzi tracciabili. È vietato anche il frazionamento artificioso di operazioni per restare sotto la soglia. Nei compro oro, però, vige una regola speciale: i pagamenti devono essere tracciabili già da 500 euro e il cliente va identificato sempre prima dell’operazione. A questi obblighi si aggiungono quelli relativi alle segnalazioni di operazioni sospette (SOS) e alle dichiarazioni oggettive alla UIF per le operazioni in oro. Dal 2025 la soglia delle dichiarazioni è fissata a 10.000 euro, con obbligo di comunicare anche operazioni frazionate che nel mese raggiungono tale importo. Chi cerca di eludere le soglie, rifiuta mezzi tracciabili o propone triangolazioni sospette espone sé e l’operatore a rischi penali e sanzioni amministrative.
Due errori che costano cari (e come evitarli)
Il primo è confondere i gioielli usati con l’oro da investimento. Le regole su IVA, documentazione e tassazione delle plusvalenze sono completamente diverse: chiedi sempre all’acquirente come classifica il bene e conserva una copia della ricevuta o della scheda dell’operazione. Il secondo è ignorare la doppia soglia sui contanti: 5.000 euro è il limite generale, ma nei compro oro i pagamenti devono essere tracciabili già da 500 euro. Pensare che “basti stare sotto i 5.000” è un errore che può costare caro.