CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – Chieri, San Martino 1950. “Il trionfo della Bagna Cauda”

 

Un ‘pezzo d’autore di Mino Caudana ((pseudonimo di Anselmo Jona, Chieri 1905 – Roma 1974) giornalista, scrittore, sceneggiatore, autore televisivo – chierese di nascita, romano d’adozione.

di Valerio Maggio

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Mino Caudana (pseudonimo di Anselmo Jona, Chieri 1905 – Roma 1974) giornalista, scrittore, sceneggiatore, autore televisivo – chierese di nascita, romano d’adozione non ha mai rinnegato le sue origini tanto che – negli anni ’50 e ’60 – era facile imbattersi, sulle colonne del Corriere di Chieri e del Chierese, in suoi interventi soprattutto legati alle tradizioni cittadine. Uno di questi, datato 18 novembre  1950 in occasione della Fiera di san Martino, ha per titolo “Il Trionfo della bagna caôda”. Eccone ampi stralci.

«La fiera di San Martino, nella tradizione chierese, rappresenta pure, per tre giornate, il trionfo della bagna caôda.(…) É Chieri, una laboriosa città di tessitori posta al di là della collina del Pino, che deve il cinquanta per cento della sua rinomanza alle stoffe di cotone esportate in tutto il mondo e l’altro cinquanta alla diabolica abilità che i suoi albergatori impiegano nella preparazione del famoso sughetto.  Chi ha provato una volta a pucciarvi cardi e peperoni, viene contagiato da un ‘male’ di cui neppure i saggi consigli dei dottori varranno a guarirlo. Dicono infatti i dottori che la bagna caôda, se composta secondo i canoni della ricetta tradizionale, risulti di ardua e prolissa digestione. In ogni caso, soggiungono, essa affolla i sogni dei suoi aficionados di complicate visioni nelle quali, arditamente, le cambiali protestate danzano la ‘Monferrina’ in compagnia di donne più bianche e più tenere degli stessi cardi di Chieri. Vorrebbero perciò, i cautissimi medici, che i pazienti escludessero dalla bagna caôda il dannatissimo aglio. Non sappiamo consigliarvi un ripiegamento così poco dignitoso. Privare l’intingolo di quell’aspro profumo è come fumar paglia. Siate, dunque, coraggiosi. Se una sera d’autunno – quando la collina torinese ricorda per l’indeterminatezza patetica dei suoi contorni e vibra già nell’aria un presagio invernale – vi coglie l’estro di una bagna caôda offritevela nella sua edizione originale, scevra di censure. Siate attentissimi, inoltre, nella scelta degli amici che siederanno con voi intorno al desco. Diffidate degli scontrosi, dei malinconici, dei dubitosi. Con la loro semplice presenza, sciuperebbero gran parte del piacere che, dalla degustazione, vi ripromettete. Sottintende la bagna caôda compagni allegri e fiduciosi che non faccian troppe storie in nome dell’igiene e di altri miti nel momento fatidico in cui, a turno, nello stesso ‘peilot’ si deve pucciare il cardo. In quanto al vino che meglio si attaglia alla bagna caôda i pareri sono diversi. Due scuole dominano il campo: quella di Paolo Monelli, che vorrebbe la densa barbera e la mia, che suggerisce in vece la freisa. Troppo corpo mi sembra infatti che abbia il suo barbera per tener compagnia ad un cibo che, in materia di difficile digeribilità, già non scherza. Esso rischia di complicare ancora le cose; e non ne vedo, francamente, la necessità. Più intonata è, a mio avviso, la pettegola freisa un vinello che non si dà arie da ‘bullo’ ma al suo dovere di smemorare senza danno assolve con spirito e diligenza (…) l’indimenticabile cerimonia del pucciaggio. Abbiate comunque l’accortezza di evitare, dopo il rito della bagna caôda le effusioni sentimentali. Il profumo dell’aglio, commisto a quello del vino, le comprometterebbe irrimediabilmente. So di molti uomini sapienti e valorosi che, dalle donne del loro cuore, vennero abbandonati nei cinque minuti successivi a tentativi del genere». Sin qui l’elogio della bagna caôda preceduto da alcune annotazioni redazionali anch’esse degne di essere lette: «La bagna caôda con la fonduta e cogli agnolotti è una di quelle delizie che valgono a giustificare la nostra permanenza sulla crosta terrestre ha scritto recentemente un buon chierese che se ne intende, Mino Caudana» Aggiungendo come «anche nell’austera Inghilterra la bagna caôda abbia conquistato un rigido funzionario del Foreign Office che – dapprima diffidente di fronte al fatidico pentolino – dopo un primo assaggio più non si staccava e manco rispettava i turni abituali nel pucciare il cardo invocando le attenuanti che sempre meritano i neofiti di un rito. Mino Caudana, erudendo ‘il grande ignaro forestiero’ sull’andamento della nostra gastronomia non dimenticherà, si capisce, di condurlo [successivamente] nella capitale della bagna caôda». Già, il cardo – quello di Chieri allora inimitabile e principale elemento per ‘officiare’ il rito della bagna caôda diventava spesso e volentieri in quei periodi l’assoluto protagonista anche grazie ad una Pro Chieri allora davvero dinamica. Ne sono testimonianza le foto che pubblichiamo scelte tra le numerose scattate a metà degli anni ‘50 ed ora presenti nella “Raccolta Fotografica Biblioteca Civica di Chieri, Fondo Mostra Fuori dal cassetto” che immortalano un tavolo imbandito voluto dall’allora presidente Luigi Persico (penultimo da sinistra) ed una sorridente ‘Miss Cardo’ eletta non senza difficolta visto il buon numero delle partecipanti.