PASSIONE FUMETTI di Giancarlo Vidotto: “Dylan Dog – Nascita di un mito” al Circolo dei Lettori di Torino

Dylan Dog, a trent’anni dal suo esordio in edicola, è stato celebrato come fenomeno editoriale e icona del fumetto italiano, attraverso le parole di alcuni protagonisti dell’epoca d’oro del personaggio: lo storico curatore della testata, Mauro Marcheselli, uno dei primissimi sceneggiatori, Claudio Chiaverotti e il disegnatore del mitico numero 1, Angelo Stano, intervistati da Fabrizio Accatino, anch’egli sceneggiatore dell’Indagatore dell’incubo, in una tavola rotonda organizzata al Circolo dei Lettori di Torino nell’ambito degli incontri promossi da Sottodiciotto Film Festival & Campus XVIII Edizione, in occasione della mostra “Dylan Dog 30” presentata , con grande successo di pubblico, alla Pinacoteca Albertina di Torino dal 18 novembre al 13 dicembre 2016.

 

Per Mauro Marcheselli “il successo di Dylan Dog è dovuto ad un insieme di coincidenze favorevoli. All’inizio è partito in sordina, poi dal nr. 43, Storia di Nessuno, ogni mese stampavamo 20.000 copie in più. E’ stato l’effetto passaparola, che ha portato la testata fino alle 500.000 copie. Non c’erano i social però ricevevamo tantissime lettere. Io sono arrivato in Bonelli nel dicembre 1986, poco dopo l’uscita del primo numero. Ai tempi facevo il camionista e lavoravo su Fumo di China (la più importante fanzine del fumetto, ancora oggi in edicola). In redazione Bonelli facevo di tutto, piccoli lavoretti, leggevo le cianografie, collaboravo alla rivista Pilot, per cui ho scritto qualche storiella breve. Per Dylan aiutavo Sclavi a fare le battute di Groucho. Quando Tiziano ha iniziato ad andare in crisi mi ha chiesto delle idee, così è nato il soggetto de Il lungo addio, e poi altri, tra cui Totentanz.”

 

Angelo Stano: “quando sono arrivato a Dylan avevo già 6 anni di professionismo e volevo fare il fumetto d’autore. Ero amico di Renato Queirolo e un giorno, mentre gli facevo vedere le tavole per un progetto per la Francia, era presente anche Sclavi, guardava le mie tavole ma non diceva nulla. Qualche tempo dopo mi fece leggere la sceneggiatura del numero 1 di Dylan Dog. Io conoscevo Sclavi per i suoi lavori sul Corriere dei Ragazzi, aveva fatto “Altai e Jonson” con Giorgio Cavazzano, però ero prevenuto sull’horror, lo consideravo un prodotto fumettistico di bassa lega. Quando ho letto la sceneggiatura di Sclavi mi sono reso conto che invece era qualcosa di veramente nuovo, aveva un taglio moderno, cinematografico, pieno di riferimenti letterari e di elementi surreali. Groucho era Groucho Marx. Il linguaggio era dinamico e il fumetto si prestava a prospettive spinte, dal taglio cinematografico. Ho aderito con entusiasmo all’invito di Sclavi. Il mio disegno si rifà allo stile del pittore Egon Schiele, un autore empatico che cercava di sottolineare l’anima. Io ho cercato di dare il massimo in quella direzione, anche se non avevo velleità intellettuali. Sergio Bonelli all’inizio era perplesso, in seguito apprezzò molto.”

 

“Gli studi dei personaggi erano stati fatti da Claudio Villa. Il comprimario doveva avere le sembianze di Marty Feldman, anche se l’idea iniziale era già Groucho a cui, per fortuna, si è tornati. Come disegnatori siamo partiti tutti insieme, io ho fatto il primo numero, ma gli altri hanno iniziato contemporaneamente a lavorare a quelli successivi. Questo è uno dei motivi per cui ci sono cose interpretate in modo diverso da ognuno, come ad esempio l’arredamento della casa di Dylan Dog. L’abbigliamento da cavallerizzo di Groucho è stata una mia idea. Dylan invece doveva assomigliare a Rupert Everett, io ho cercato di renderlo più asciutto, longilineo. Ogni disegnatore però lo caratterizza in modo leggermente diverso, anche se sempre riconoscibile. Sclavi è stato molto bravo a dare ad ogni disegnatore storie tagliate su misura. Dylan Dog è una specie di manifesto, un personaggio diverso da quelli precedenti: Sclavi ci dice che è uno di noi, con le nostre insicurezze.”

 

Claudio Chiaverotti: “sono arrivato alla Bonelli grazie ad Alfredo Castelli, che mi aveva chiamato per scrivere Martin Mystere. Per Dylan mi sono proposto io, con la sceneggiatura de “Il buio” di cui avevo mandato un soggetto. Una curiosità è che nel soggetto non avevo messo il finale e su questo Decio Canzio (principale collaboratore di Sergio Bonelli) mi riprese, ‘Claudio, con noi devi essere sempre molto chiaro’. Da allora ho realizzato una cinquantina di numeri di Dylan Dog, poi ho creato un mio personaggio, Brendon, a cui è seguito quello attualmente in edicola, Morgan Lost. Recentemente ho scritto anche una graphic novel “I mostri non vivono solo nel buio” (Ed. Inkiostro). Il rapporto con Sclavi andava molto bene, per me era un eroe (come Castelli), lo ascoltavo sempre con molta attenzione, anche quando mi diceva le cose che non andavano. All’inizio mi correggeva molto, poi con il tempo sempre meno. La cosa più difficile era trovare le battute di Groucho, a volte ci dovevi state su mezza giornata.”

 

Per Marcheselli “mezza giornata per una battuta di Groucho non è tanto. Le sue battute devono sempre essere contestualizzate. Ai tempi non c’era internet, usavamo i libri di Gino Bramieri. E non dovevamo ripeterci. In questo lavoro ci aiutò anche un lettere. All’inizio Sclavi riscriveva i dialoghi dei nuovi sceneggiatori. Dylan Dog non è facile da scrivere, bisogna entrare nel personaggio, studiarlo molto bene. Tiziano in seguito ha avuto grossi problemi di depressione che lo hanno portato anche in clinica. Il successo di Dylan Dog lo aveva in qualche modo bloccato. 500.000 copie vuol dire che ti leggono tantissime persone. Lo leggeva Umberto Eco. La mensilità è micidiale, dovresti scrivere un capolavoro al mese. Anche per questo ha smesso di scrivere, il nr. 100 lo ha praticamente finito Stano.” “Sì, sono andato a casa sua dopo che era fuggito dalla clinica dove era ricoverato. Non voleva finire una storia sul passato del personaggio che aveva iniziato di malavoglia e solo perché glielo aveva chiesto l’editore (il nr. 100 tradizionalmente riprende il passato del personaggio). Stava molto male, l’ho dovuto pungolare per farmi dettare a voce le ultime 20 pagine.”

 

Marcheselli ricorda che “Sergio Bonelli apprezzava tantissimo Tiziano Sclavi, perché faceva di tutto, in fretta e bene (aveva scritto anche per Mister No, Zagor e Kerry il Trapper), però era preoccupato per il genere horror. Aveva acconsentito al progetto forse perché pensava fosse una cosa più classica, sul genere che amava lui. Quando è arrivato il successo ha cominciato a preoccuparsi, a frenare. Ai tempi si diceva che i fumetti davano il cattivo esempio e qualche editore e alcuni autori finirono anche in tribunale, ma non Dylan Dog. Sergio Bonelli man mano che il successo cresceva chiedeva sempre più attenzione sia nei contenuti, sia nelle copertine. Tante sono state cambiate o corrette perché ritenute troppo forti. Con il tempo lo splatter è quasi sparito del tutto. Comunque la fortuna di Dylan Dog non è stato l’horror e lo splatter, ma il personaggio stesso.”

 


 

Fabrizio Accatino ricorda che anche Claudio Chiaverotti ha numerosi fan per il suo Dylan Dog. “Non credo che il mio Dylan Dog si discosti molto da quello di Sclavi” dichiara Chiaverotti, “semplicemente ci siamo trovati in sintonia, abbiamo scoperto di avere parecchie cose in comune, tra cui molte paure ma anche che ci piacciono le stesse cose. Lui ha fatto storie pazzesche, certo, io gli proponevo le mie e lui approvava. Mi ricordo che “Lontano dalla luce” me l’aveva bocciata a voce, poi invece me l’ha approvata quando l’ha letta. Una delle difficoltà che ho avuto dopo Dylan è stata proprio quella di riuscire ad allontanarmi da quello stile. Le mie ispirazioni comunque vengono soprattutto dal mondo del cinema.”