CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – Comunione, comunità, solidarietà.

È tempo di accoglienza per seminare speranza.

di P. Pio Giuseppe Marcato op

 

Da molto tempo si usano questi termini per indicare che è necessario cambiare rotta e costruire in alternativa un mondo diverso che blocchi la spirale dell’odio, della violenza della guerra. È tempo di iniziare ad accogliere in modi diversi gli stranieri e i profughi, e dare spazio e dignità a persone che fuggono dalla disperazione e dal vuoto. Chiedono di essere guardate negli occhi ma soprattutto col cuore! Il caos voluto e programmato dalle grandi potenze militari ed economiche, che ci circondano con la loro mole di violenza e di morte, distruggono con subdoli sistemi i vari tentativi di dialogo e collaborazione per una solidarietà dichiaratamente umana e con uno spirito cristiano. Non ci facciamo facili illusioni: siamo alla vigilia di cambiamenti epocali dal punto di vista ecologico, economico planetario. Ricchezze naturali sprecate (acqua e foreste), società represse e impoverite (non solo minerali), e valori culturali calpestati (tradizioni secolari). Facciamo fatica a capire la direzione di marcia che stiamo percorrendo e quali mete vogliamo (o vogliono farci) raggiungere. Eppure, da alcuni anni, alcune parole sembrano quanto mai utili e necessarie per ristabilire degli equilibri che sembravano naufragati. I messaggi di Papa Francesco “Laudato sii” e “Fratelli Tutti” dovrebbero obbligare un serio risveglio di mentalità e di coscienza collettiva!

Comunità e comunione, solidarietà e partecipazione! Anche il prossimo Sinodo ecclesiale si è fatto carico di questo progetto globale. ‘Comunità’: è una di quelle parole che possono aprire orizzonti nuovi di speranza. Siamo ben consapevoli che noi siamo comunità. ‘Comunità’ è l’esperienza umana della nostra dimensione plurale, siamo singoli e plurimi: io-tu siamo singoli, noi-loro siamo plurali, ma il mio io è sempre e solo il tu di un’altra persona, sia questo padre o madre di un figlio o una figlia, di un fratello con un amico, ma anche il tu di Dio che è Padre, il tu di Cristo che è mio fratello. Questa l’esperienza privilegiata e fondamentale più evidente di ciascuno di noi. Siamo e restiamo sempre ‘comunità’ ma dovremmo perfezionarla articolandola nella dimensione della comunionalità, in uno stato permanente di “comunione”. Sì, la comunità è l’esperienza concreta e plurale di noi stessi; la comunità sta dentro di noi stessi, non fuori di noi. L’individuo è solitudine, esclusione, mentre essere persone ‘libere’ è essere e restare in relazione permanente con l’altro, con ‘tutti’. Di qui la necessità di costruire ponti e non fare ‘guerre’.  La propria unicità chiede e dona libertà all’altro, per poi essere con l’altro. Ma la comunità dev’essere creata e ricreata continuamente, è sempre in cammino, vive e ricerca sempre nuovi ‘incontri’, genera relazioni nuove. In questo tempo di grandi calamità, di disastri apocalittici, ci accorgiamo che gli stimoli di solidarietà umana generano sentimenti e valori fondativi di autentica socialità, verso progetti spontanei di comunità. Non ci può essere comunità senza condivisione. Le semplici esperienze di condivisione fanno percepire la necessità di costruire nuove e più profonde relazioni con gli altri superando più facilmente la limitatezza del proprio io. Si condivide ciò che si è, non solo ciò che si ha, e questo ben oltre la propria pochezza, il proprio limite, la propria ferita, così si condividono più serenamente le proprie gioie, i propri ideali, e questi si moltiplicano a favore di tutti. Accettare la condivisione significa lasciarsi provocare, restare disposti al cambiamento, accettare di venire coinvolti in qualcosa di inaspettato, e creare, nella novità, il ‘bello’. Il tempo che stiamo vivendo ha bisogno di speranza, di riscoprire la bellezza e la bontà della vita. Questo non toglie e non ci distoglie dal constatare che facciamo esperienza della sofferenza, del dolore, della fatica e dello sconforto, ma ci permette di restare dentro la nostra storia e di dare un senso pieno al tempo che viviamo. La speranza, anzi la consapevolezza di condividere con l’altro ciò che semplicemente siamo, ci permette di gestire un’energia enorme che si nasconde nel profondo di noi stessi. La speranza cerca sempre non qualcosa ma qualcuno, anzi s’innalza ad un livello ben superiore che sfiora e s’immerge nell’infinito. Camminare col prossimo comporta sempre fatica, a volte sofferenza ma sempre entusiasmo; la speranza non delude mai, ma desidera definire sempre meglio l’orizzonte che si vuole raggiungere. Costruire un dialogo di amicizia favorirà allora la comunione, elemento vitale della comunità. Non si cercheranno più gli elementi di divisione, di rottura e rivalità, ma ogni cosa troverà la giusta dimensione per desiderare un mondo, il nostro, più vero e autentico di giustizia e pace. Nell’esperienza cristiana e nello spirito delle beatitudini evangeliche si troveranno sempre elementi nuovi per ricominciare ad edificare in umiltà e pazienza quelle trame e quelle reti di misericordia capaci di dare e ridare alla comunità la gioia perfetta.