Cappella e altare di S.Francesco di Sales

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Cappella e Altare di S.Francesco di Sales

La prima cappella che, entrando nella chiesa di San Filippo Neri, si incontra sulla destra è dedicata a San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra. Antonio Bosio sostiene che venne fondata da un certo don Giovanni Tommaso Germano fu Oddone di Chieri. Come le altre, anche questa nel 1681, al momento della consacrazione della chiesa, si presentava in una veste alquanto dimessa. Nel 1728, anno della visita pastorale di mons. Arborio Gattinara, l’altare era ancora in laterizio, e forse era l’ultimo ad essere rimasto tale.

Verso gli anni Trenta del Settecento i Filippini ne cedettero il patronato alla famiglia dei conti Gabaleone di Salmour. Nel 1732, Giuseppe Antonio Gabaleone di Wakerbarth, ambasciatore del re di Polonia presso la Santa Sede, inviò in questa sua cappella il corpo del martire San Valentino, proveniente dal cimitero romano di Calepodio, che aveva ottenuto dal papa Clemente XII e che oggi è conservato nella nicchia ricavata fra l’altare e la pala: una nicchia la cui grata di protezione fu disegnata dallo scultore Giuseppe Antonio Riva. Inviando a Chieri la reliquia, il conte Gabaleone di Wakerbarth si impegnava a ristrutturare la cappella e a dotarla di un altare e di una balaustra di marmo.

Poi, però, sembrò aver dimenticato l’impegno preso. Dopo varie sollecitazioni, lo mantenne attorno al 1755. Come è facile constatare, anche questo altare fu disegnato e realizzato prendendo a modello quello che Pietro Paolo Cerutti aveva progettato per la cappella di San Filippo.

BEAUMONT Francesco. La Madonna col Bambino e San Francesco di Sales (1757 ca.)

BEAUMONT Francesco. La Madonna col Bambino e San Francesco di Sales (1757 ca.)

Per la pala del nuovo altare il conte Giuseppe Antonio Gabaleone di  Wakerbarth  diede l’incarico al pittore di corte  Francesco Beaumont, forse l’artista più in vista del momento. Il quadro raffigura  il santo vescovo di Ginevra nell’atto di venerare la Vergine e di baciare il piede di Gesù Bambino. L’opera è databile in base ad una lettera del 2 novembre 1757, un tempo conservata nell’archivio dei Filippini e oggi scomparsa, nella quale Beaumont chiedeva ai religiosi se la tela era stata di loro gradimento: a quella data, perciò, il quadro era già arrivato a Chieri ed era già al suo posto sull’altare.  

È un dipinto che evidenzia la grazia delle figure a il vivace cromatismo che caratterizzano l’arte del Beaumont.  Andreina Griseri la giudica  “…tra le opere più significative dell’ultima maturità” dell’artista torinese. 

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