STORIA – La peste a Chieri nel 1630. Nei Monasteri e nei Conventi

(Seconda puntata)

-Tra le carte dell’ex Monastero di S Andrea, “ memorie nel tempo”, si riporta che dopo il contagio di Fabio Montuto, altri contagi devastarono il quartiere Arene; nel Monastero il servitore Pietro Barrera con moglie e figlia morirono in meno di 6 giorni; poi di “carbone (bubboni) il vecchio servitore Tachino , seguito da frati e monache, fino alla nobile torinese , ospitata in convento, Costanza Apollonia Losa spirata con “cotisella in gola” , assistita dal Sindaco Carlo Robbio spirò tra la febbre e dolori atroci; venne seppellita nell’orto del convento, lungo le mura. Dal libro delle spese del convento risulta che dal mese di luglio 1630 a gennaio 1631 furono fatte spese per “zolfo, polvere d’archibugio, profumatori per le stanze infette, nuovi materassi e vestiti, per sostituire quelli bruciati per il contagio, oltre ai compensi per le donne che avevano assistito i malati.

Monastero di S Chiara: dal “libro delle donzene delle educande” risulta che il Conte Ludovico Villa sosteneva le “donzene” affette da morbo elargendo cospicue somme in fiorini; il 3 ottobre 1631 Donna Lucrezia, figlia Nobile da Torino, lasciò il convento gravemente malata, ma morì di li a poco alla cascina del Tario. Altre nobili fanciulle ospiti in convento si infettarono; sostenute dalla famiglia con ingenti somme di denaro per le cure , vennero isolate in stanze separate, dentro e fuori convento ed assistite fino alla loro morte.

Convento dei Cappuccini: Qui il male colpì fin dal principio, “perché uscite le Corti da Torino ed andate a Chieri” . In “successi lugubri del 1630” si legge “… entrò nel nostro convento la contagione, morirono Padre Michel di Giaveno e Padre Angelo da Torino, tutti uscirono a cercare la morte in quarantena, tre a Santena, due ad Arignano . Fra Alessandro da Priè, frate tra i più anziani, si offrì di andare a servire gli appestati fuori dal convento e come lui fecero altri cappuccini; Fra Alessandro fece servizio a Carmagnola, poi ad Asti ed a Chieri senza contrarre il morbo; a Chieri servì i malati nel lazzaretto, aperto per ordinato consolare il 13 luglio 1630 nella cascina Vallero, poco distante dal convento. La città ricompensava con farina, formaggio, olio e vino l’operato dei frati cappuccini.

Convento dei Padri Barnabiti: Dalle carte “ Acta Collegii Cheriensis Cleric, Regula….” Risulta che il 24 giugno 1630 fu celebrata la festa di S Giovanni Battista e che a seguito di quella festa con processione molti fedeli e chierici contrassero il morbo; tanto che la Duchessa Cristina, moglie del Principe ereditario Vittorio Amedeo I di Savoia lasciò il Convento Carmelitano di Pino Torinese in cui soggiornava, per recarsi nella sua residenza in Chieri per poter seguire da vicino la vicenda. Il morbo aveva toccato a fondo il Convento , tanto che sopravvissero solo due Padri, che furono prontamente rimossi dal convento e destinati ad altri luoghi di culto chiudendo il Convento.

– Monastero Domenicano di S Margherita: Sorte diversa ebbe il Monastero di S Margherita, qui il morbo non entrò; qui le suore di clausura, seguite e protette dalla Badessa Madre Scaglia di Verrua, Donna Ginevra, una delle Dame delle Principesse di Savoia, che anni prima aveva voluto indossare l’abito delle suore. In riconoscenza del privilegio ottenuto le suore fecero voto solenne di celebrare ogni anno, la terza domenica di ogni mese di andare in processione dal coro del chiostro alla cappella di San Giuseppe. Oltre alle suore rimase illeso il loro confessore, il Padre Barnabita Maurizio Maria Furno ed altri padri , anche se furono oggetto di attentati per il contagio col gettito oltre mura di vestiario appestato o altre bassezze.

Convento dei Padri Domenicani: anche il Convento domenicano si salvò dal contagio; soprattutto grazie al Consiglio Comunale della Città che deliberò l’8 giugno 1630, di assegnare ai Frati la somma di 200 fiorini, ritirandoli in quarantena, estraendoli dalla loro vocazione di vivere di elemosine in strada. Una precauzione presa anche a seguito dell’arrivo da Milano , città profondamente infetta, di Fra Isnardi. Furono pochi i decessi in Convento, tre o quattro, ed il loro priore, Fra Girolamo Benzi, cercò di contenere il contagio selezionando e contenendo i frati in Convento, distribuendo in altre sedi alcuni di loro.

Carlo Bagnasacco