Agnese, una chierese in Niger. “Sono rientrata, ma spero di tornarci presto…”

Il racconto dei giorni del colpo di stato di Agnese Ferrara, 29 anni, chierese, dottoressa in scienze della Cooperazione che in Niger vive e lavora.

 

Agnese Ferrara in un momento di formazione con Madri Educatrici

La scorsa settimana in Niger si è verificato un colpo di Stato: la situazione del paese è rapidamente cambiata e nel giro di una giornata il governo democratico di Mohamed Bazoum è stato sostituito da un collegio militare guidato da Abdourahamane Tchiani, generale a capo della guardia presidenziale.

Nei giorni successivi il governo italiano ha accolto in Italia i nostri connazionali che dal Niger hanno scelto di tornare in patria in seguito a questo importante e ancora instabile mutamento politico.

Tra di loro anche Agnese Ferrara, ventinove anni di Chieri, dottoressa in scienze della Cooperazione che in Niger vive e lavora.

Perché eri in Niger?

Agnese: “In realtà io sono in Niger dal settembre del 2021. E sono arrivata in Niger, tramite un’organizzazione umanitaria italiana chiamata COOPI, con la quale ho iniziato un percorso di formazione per capi progetto.

COOPI è un’organizzazione umanitaria italiana, fondata a Milano il 15 aprile 1965, presente in 33 paesi di Africa, Medio Oriente, America Latina e Caraibi, con 252 progetti umanitari attualmente attivi.

Tra i campi d’intervento principali Acqua e igiene, Ambiente e Riduzione Rischi Disastri, Educazione in Emergenza, Sicurezza Nutrizionale, Protezione e Sicurezza Alimentare.

All’inizio mi occupavo di seguire due progetti Unicef nel settore nutrizione e sicurezza alimentare; un progetto finalizzato all’aiutare alcune mamme a individuare in modo anticipato la malnutrizione dei loro bambini tramite semplici strumenti di prevenzione e informazione, l’altro progetto dedicato al sostegno dei centri di salute e della logistica necessaria al loro rifornimento.

Mi viene quindi proposto di continuare a lavorare con COOPI come assistente capo progetto e mi impegno in un progetto che interviene nell’ambito della salute direttamente sul territorio e in particolare in alcune zone considerate a rischio grandi movimenti di popolazione, in quanto soggette ad attacchi da parte di gruppi armati non statali. COOPI interviene a supporto delle persone che a seguito degli attacchi da parte di questi gruppi armati hanno perso la loro casa e si ritrovano non avere più dei punti di riferimento; tramite delle cliniche mobili, portavamo loro servizi di salute, medicinali e sostegno psicologico e sociale.

Nell’ultimo anno inizia un nuovo progetto che mi porta a lavorare più sul campo: mi sposto nella zona di Diffa, al confine con la Nigeria, una zona con un’alta concentrazione di rifugiati e sfollati, per i quali organizziamo programmi specifici parallelamente al lavoro con la popolazione locale. Ci muoviamo sempre con un’attenzione particolare alle persone più vulnerabili, in particolare i bambini, donne e persone con disabilità.

Con questo progetto lavoriamo per fornire servizi di protezione e accesso all’acqua potabile e all’igiene. Organizziamo dei corsi di alfabetizzazione per gli adolescenti che non sono inseriti nel percorso di scuola formale e abbiamo alcuni centri ricreativi per i bambini dove il nostro staff può intervenire a supporto dei bimbi che hanno bisogno di sostegno psicologico.

Lavoriamo su corsi di sensibilizzazione alle buone pratiche igieniche e sanitarie; soprattutto per contrastare il diffondersi di malattie come Covid, malaria o colera. Più di recente abbiamo avviato progetti di costruzione di alcuni pozzi, di inceneritori, e di strutture che verranno destinate all’utilizzo da parte delle donne.

Il 26 luglio scorso, al momento del colpo di stato, mi trovavo nella capitale Niamey, dove COOPI ha la sede del proprio coordinamento. Da quel momento non ho più potuto muovermi per raggiugere lo staff di miei collaboratori locali che si trovano distaccati a Diffa – per seguire i progetti sul territorio.”

Che cosa è successo il 26 luglio? Voi vi aspettavate un colpo di stato?

Agnese: “No, non ce lo aspettavamo. La situazione in Niger era tranquilla e, nonostante alcune somiglianze tra la situazione nigerina e quella di altri paesi come il Mali e il Burkina, sembrava stabile.

Invece già dal mattino del 26 luglio giravano notizie di un tentativo colpo di stato sui social, ma non avevamo notizie precise, era tutto confuso.

Deve essere stato abbastanza pacifico, senza l’uso di armi; il nostro ufficio è in una zona centrale e non si sono sentiti rumori. La situazione era confusa, non c’erano notizie chiare durante la giornata e solo in serata esce un comunicato in cui il colpo di Stato veniva confermato. Ora al potere c’era questo Conseil Nazional, e tra le prime misure prese da questo gruppo di capi militari c’era l’istituzione di un coprifuoco notturno dalle 22 alle 5 del mattino e la chiusura delle frontiere sia aeree che terrestri.

Queste sono state le prime informazioni che noi abbiamo ricevuto.

Il giovedì abbiamo ricevuto l’indicazione di non lasciare le nostre case: la situazione non era definita e ci siamo mossi con la massima prudenza. Il venerdì siamo potuti rientrare in ufficio.

Durante la giornata di venerdì viene annunciato che a seguito del colpo di stato, il presidente Mohamed Bazoum è stato arrestato e si trova confinato nella sua residenza; al suo posto un consiglio militare con alla guida il generale Abdourahamane Tchiani.

Da questo momento – e queste sono le informazioni arrivate anche ai media occidentali – si svolgeranno nel paese diverse manifestazioni alcune in sostegno di Bazoum e altre (la maggior parte) in sostegno di Tchiani. Si tratta sempre di manifestazioni per lo più controllate, o con minimi disordini. Le indicazioni per gli occidentali sono di non uscire di casa, soprattutto durante la manifestazione di domenica, la più grande. Ci è stato consigliato di non affacciarci nemmeno alle finestre, per maggiore sicurezza.

Fin da subito l’ambasciata italiana si è adoperata per starci vicino e per darci le informazioni su quanto accadeva: era stato creato fin da subito un gruppo whatsapp con gli italiani presenti in Niger -poco più di un centinaio tra civili e militari ndr – e ogni giorno l’ambasciata ci dava indicazioni o aggiornamenti. L’accesso a internet, per fortuna, non è mai stato sospeso durante questi giorni.

Noi potevamo andare in ufficio, ma era l’unico spostamento che ci veniva concesso. Tutte le attività esterne o di svago erano state sospese, per motivi di sicurezza. Nel nostro piccolo, come umanitari, continuavamo il nostro lavoro e tuttora i progetti di COOPI non si sono fermati.”

Perché hai deciso di lasciare il Niger?

Agnese: “Il martedì mattina abbiamo ricevuto un messaggio dell’ambasciata italiana, che ci comunicava la possibilità, per chi lo desiderasse, di rientrare in Italia con un volo militare organizzato.

La situazione era sotto controllo internamente, ma al momento ci sono forti pressioni politiche esterne verso questo nuovo governo militare e nessuno è in grado di prevedere se e quando i voli commerciali riprenderanno.

In ogni caso, non mi sono mai sentita in pericolo in Niger; nemmeno durante queste giornate.

La mia scelta è stata quella di rientrare in Italia, dal momento che non avevo la possibilità di riunirmi al mio staff a Diffa e pertanto ero comunque obbligata a svolgere il mio lavoro di coordinamento a distanza, trovandomi a Niamey. Molti miei colleghi, in primis la nostra capo missione Morena Zucchelli, hanno invece scelto di rimanere.

Non è stato facile, anche perché l’ambasciata ci aveva chiesto di muoverci con la massima discrezione e di non parlare ad altri di questa possibilità. Quindi, nel momento in cui io ho preso la mia decisione, sono uscita dall’Ufficio senza salutare nessuno e senza avvisare che non sarei tornata: non ho potuto salutare i miei colleghi nigerini e sono semplicemente uscita, sono andata a casa e ho preparato il mio zaino per la partenza.

Da lì un autista ha accompagnato me e i miei colleghi che avevano scelto di partire all’ambasciata italiana. Durante questi spostamenti non avevamo ancora i dettagli del volo: non sapevamo dove avremmo preso l’aereo e nemmeno la destinazione finale, perché sapevamo avremmo volato insieme a occidentali di altre nazionalità.

Un convoglio con soldati italiani e nigerini ci ha accompagnato alla base operativa militare italiana, dove siamo stati ospitati e sottoposti a visita medica, per verificare che le nostre condizioni di salute fossero idonee per il viaggio. Sempre con questo convoglio siamo stati accompagnati in aeroporto per poi prendere un aereo militare che ci ha riportato a Roma, a Ciampino, dove siamo stati accolti dal ministro degli Affari Esteri Tajani.

Ora sono tornata a Chieri, ma sono sempre in contatto con i miei colleghi di COOPI e i nostri progetti stanno continuando ad operare sul territorio.

La situazione in Niger al momento è tranquilla, ma ci sono molte pressioni internazionali e dinamiche molto complesse che non permettono di prevedere cosa accadrà sul lungo termine.

La mia speranza è quella di poter ritornare il prima possibile, appena riapriranno lo spazio aereo ai voli commerciali, e ovviamente che si torvi una soluzione pacifica che non metta a rischio la popolazione locale”.

 

Giulia Giacone