CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – A 100 anni dalla nascita, Chieri ricorderà Don Milani?

Uno spazio pubblico alla sua memoria, ora che la scuola non c’è più…

di Valerio Maggio

Sono firmatario, insieme ad un gruppo di amici della richiesta all’Amministrazione comunale di Chieri di intitolare nuovamente uno spazio pubblico alla memoria di don Milani, nel centenario della nascita avvenuta il 27 maggio 1923. (In passato gli si era già intestata una scuola media, successivamente accorpata alla “Angelo Mosso” che ora, insieme, portano il nome di “Oscar Levi”).

L’intento del gruppo – lo stesso, o quasi, che nel 2002 si recò a Barbiana per a ricordarne l’insegnamento – è però anche quello di recuperare e riproporre, attraverso l’iniziativa, la complessa figura di Don Lorenzo Milani, “modello di educatore democratico” grazie ai “temi – ancora attuali e degni di riflessione – affrontati sull’Appennino dai suoi studenti”.

Don Lorenzo Milani muore di cancro nel giugno del’67 a soli quarantaquattro anni dopo aver lasciato a testimonianza del proprio pensiero alcuni scritti che «costituiscono tuttora e costituiranno ancora per lungo tempo – scriverà Neerea Fallaci nel suo libro ‘Dalla parte dell’ultimo, vita del prete don Lorenzo Milani’ (Milano Libri 1974) – una spina nel cuore non solo dei cattolici, ma anche a coloro che alla Chiesa cattolica non appartengono o addirittura guardano da posizioni nettamente separate e ostili». « Don Milani – precisava in suo intervento lo scolopio padre Ernesto Balducci – ha scelto la via della rottura per aggredire il mondo degli altri e far nascere nella coscienza di tutti noi, prelati, preti, professori, comunisti, radicali e giornalisti il piccolo amaro germoglio della vergogna…». Un apostolato, il suo davvero difficile – ma “ortodosso fino allo spasimo” – portato avanti tra la diffidenza dei confratelli e l’incomprensione delle gerarchie» attraverso una vita vissuta aspramente intensamente ma, soprattutto in modo molto complesso.

Qualcuno nel tempo lo definì  “il prete amaro di Barbiana”; per altri una “terribile figura di prete fiorentino”; per altri, invece, un “tremendo testimone di verità” capace di mettere in crisi – con le “sue problematiche” civili, morali, e religiose – le coscienze di molti. Ci fu, almeno nei primi anni successivi alla morte, un crescendo di interesse maturato anche da una vasta letteratura, da programmi radiofonici, televisivi, cinematografici, da proposte teatrali ma anche, e forse soprattutto, dalla pubblicazione, postuma, di «alcuni sorprendenti epistolari*». Poi, a poco a poco, l’’oblio o quasi, forse anche – perché come sottolineava già allora la Fallaci – la sua figura «anche per i suoi più eminenti e appassionati cultori ed esegeti risulti una materia difficile da maneggiare».

*1958: “Esperienze pastorali” (raccolta sul senso e sulle funzioni della Chiesa nella società e sul ruolo dell’istruzione).

*1965: “L’obbedienza non è più una virtù” (in difesa dell’obiezione di coscienza)

*1967: “Lettera a una professoressa” (testo scritto con i ragazzi di Barbiana: dura condanna del sistema scolastico italiano giudicato antidemocratico e classista).