Cappella del Corpus Domini

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Cappella del Corpus Domini

Originariamente, gli spazi attigui al presbiterio (e il presbiterio stesso) erano di dimensioni molto ridotte rispetto a quelle attuali ed erano variamente suddivisi.

Quello di destra, in particolare, ospitava una cappella e la sacrestia e in seguito, quando questa fu trasferita, tre piccole cappelle. Nel 1632 la Compagnia del Corpus Domini lo acquisì nella sua interezza con lo scopo di ampliarlo e farne una cappella unica. Non fu facile realizzare tale progetto perché si trattava di mettere d’accordo vari soggetti. Ma nel 1651 le difficoltà erano superate e l’impresario Francesco Garove poté dare inizio alla costruzione della struttura.

Dopo una sospensione dei lavori dovuta alla scarsità di fondi, fra il 1660 e il 1661 maestranze luganesi, fra cui lo stesso Francesco Garove, Tommaso Carlone, Gio. Luca Corbellino e Giovanni Marocco, e insieme a loro anche il chierese Francesco Fea, eseguirono la decorazione: in un complesso sistema di cornici a stucco affrescarono scene dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Pochi anni dopo, negli anni 1668-1670, quando dall’altra parte del presbiterio Giovanni Battista Bertone costruì la cappella del Crocifisso arricchendola con una profusione di grandi tele dei migliori artisti del momento, i Confratelli del Corpus Domini probabilmente ebbero la sensazione che, al confronto, dal punto di vista decorativo la loro cappella fosse stilisticamente sorpassata. Perciò ingaggiarono artisti come Sebastiano Taricco e Giovanni Antonio Mari commissionando loro due tele a testa destinate a sostituire gli affreschi dipinti solo dieci anni prima.

CARAVOGLIA Bartolomeo, Esaltazione dell’Eucaristia (1669)

CARAVOGLIA Bartolomeo, Esaltazione dell’Eucaristia (1669)

Mentre i luganesi decoravano la cappella, sull’altare veniva collocata la pala dedicata all’Esaltazione dell’Eucaristia: in alto, due angeli sorreggono l’ostensorio con l’Ostia consacrata. Nel registro sottostante vi sono le tre Virtù Teologali ed un papa, forse Urbano IV o san Gregorio Magno, che adora l’Eucaristia.

Il Bosio ed il Valimberti l’hanno attribuita al pittore Lorenzo Pelleri di Carmagnola. Nel 1986 Oreste Santanera avanzava l’ipotesi che potesse essere di Bartolomeo Caravoglia. Un restauro del 1989 gli ha dato ragione, rivelando la firma autografa dell’autore e la data di esecuzione (B. Caravoglia. 1669) nascoste sotto la patina accumulatasi nel tempo.

MARI Giovanni Antonio. Abramo e i tre Angeli (1690 ca).

MARI Giovanni Antonio. Abramo e i tre Angeli (1690 ca).

MARI Giovanni Antonio. David danza davanti all’Arca (1690 ca)

MARI Giovanni Antonio. David danza davanti all’Arca (1690 ca)

Nelle due tele che Giovanni Antonio Mari ha dipinto per questa cappella, e che occupano la parete sinistra, sono raffigurati altrettanti episodi dell’Antico Testamento letti in relazione all’Eucaristia: l’Arca contenente le tavole della legge davanti alla quale il re David danza è vista come simbolo del Tabernacolo; le focacce che Abramo offre ai tre viandanti fanno anch’esse riferimento al Pane eucaristico.

Queste tele, con le loro figure prosperose, rubiconde e dai colori vivaci, che ricordano quelle di P.P. Rubens, più di altre giustificano il giudizio che gli studiosi danno di Giovanni Antonio Mari. Per Camilla Barelli, infatti, il linguaggio pittorico del Mari “ rivela una cultura di gusto scenografico ancora pienamente secentesca, aggiornata in direzione emiliana”. E Carlo Caramellino sottolinea gli “… impasti densi di colore e dai notevoli effetti di luce” e, anche lui, il “sapore ancora secentesco” trasmesso dai suoi dipinti.

 TARICCO Sebastiano. La Cena di Emmaus (1690 ca).

TARICCO Sebastiano. La Cena di Emmaus (1690 ca).

TARICCO Sebastiano. La Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1690 ca).

TARICCO Sebastiano. La Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1690 ca).

Più evidente contenuto eucaristico hanno le due tele della parete destra, eseguite dal pittore di Cherasco, ma formatosi a Torino, Sebastiano Taricco: i loro soggetti, infatti, sono la Cena di Emmaus e la Moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Due opere che danno ragione a Giovanni Romano, che del Taricco sottolinea la formazione al seguito di Giovanni Andrea Casella sulle impalcature dei cantieri torinesi. E’dal maestro ticinese, scrive il Romano, che il pittore di Cherasco ha mutuato i canoni dell’esuberante barocco di stampo “cortonesco”. In misura minore ha posto attenzione anche “… alle lustre eleganze del Dauphin, pur rinunciando alle sue fiammeggianti cromie”, al barocco classicistico del Miel, agli effetti illusionistici di Andrea Pozzo e al delicato cromatismo del luganese-ligure Carlone.

MAESTRI LUGANESI. Affreschi delle volte e delle pareti (1660-1661)

MAESTRI LUGANESI. Affreschi delle volte e delle pareti (1660-1661)

MAESTRI LUGANESI. Affreschi del catino (1660-1661)

MAESTRI LUGANESI. Affreschi del catino (1660-1661)

MAESTRI LUGANESI. stucchi dei pennacchi (1660-1661)

MAESTRI LUGANESI. stucchi dei pennacchi (1660-1661)

Oggi, gli affreschi seicenteschi delle volte sono ancora visibili. Nel catino che copre il presbiterio è rappresentata l’Apoteosi dell’Eucaristia: una folla di patriarchi, profeti, angeli e santi adorano il SS. Sacramento, con il curioso particolare di una serie di re che, distribuiti lungo tutta la base della cupola, suonano strumenti diversi quasi a formare un’orchestra. Nella volta a botte della breve navata sono raffigurati Giosuè che “ferma” il sole; la Caduta della manna nel deserto e la Cacciata degli angeli ribelli.

Anche gli affreschi delle pareti laterali esistono ancora, ma nascosti sotto le tele del Mari e del Taricco. Vi sono rappresentate scene dell’Antico e Nuovo Testamento: la Moltiplicazione dei pani e dei pesci e le Nozze di Cana a sinistra, l’Ultima Cena e il Convito di Assuero a destra. Sono stati visti e fotografati quando, nel 1937 e nel 1996, le tele sono state rimosse per essere restaurate o esposte a mostre. Ciò ha permesso di esaminarli per capire cosa abbia spinto i Confratelli del SS. Sacramento a scartarli e sostituirli con le tele. Probabilmente il barocco affollatissimo e popolaresco che li caratterizza sembrò non reggere il confronto col più raffinato barocco alla Mari o alla Dauphin e, soprattutto, con il classicismo alla Miel e con l’eclettismo di Caravoglia.

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