PIEMONTE X CURIOSI – “Cerea”, la storia della tipica espressione piemontese

Tutti i piemontesi, almeno una volta nella vita, hanno sentito pronunciare la parola “cerea”, ma qual è la sua storia?

Tutti i piemontesi, almeno una volta nella vita, hanno sentito pronunciare da qualcuno la tipica espressione: “Cerea, neh“, ma in pochi conoscono la sua storia. Si tratta di un saluto regionale ampiamente diffuso nei decenni passati, meno utilizzato ai nostri giorni. Il dialetto piemontese, infatti, dispone di due espressioni di commiato: arvëddse – arrivederci – e cerea. Questa parola non ha corrispettivi in italiano.

Si tratta di un saluto formale, che delinea distacco ma al tempo stesso rispetto tra gli interlocutori. Nonostante l’uso reverenziale del termine, in alcune rappresentazioni piemontesi la parola viene utilizzata in chiave comica dai personaggi. Questo perché con il passare degli anni è diventata un’espressione un po’ più colloquiale.

L’origine del termine

L’origine della parola sembra derivare dall’espressione di saluto reverenziale tra il ceto medio-alto “Saluto alla Signoria Vostra”. Questo, si è poi trasformato nel linguaggio popolare alterando la parola “Signoria” con “sereia”/“serea”, molto simile al saluto veneziano “sioria vostra”. Secondo il Dizionario Treccani, infatti, la parola cereia proviene da “serèa «signoria»; cfr. sere «signore»”.

Una leggenda vuole che le origini del termine derivino dal termine greco chaire, imperativo del verbo chairo, “rallegrarsi”. Sembra che un cadetto di casa Savoia fosse solito vantarsi del fatto di conoscere il greco e avesse quindi preso l’abitudine di salutare le persone che incontrava con la parola chairo.

Incuriositi dal neologismo, i suoi interlocutori cominciarono a imitare il saluto che con il passare del tempo si trasformò nel termine cerea. Ad ogni modo, questa sembra essere solo una semplice storia inventata. Sebbene esista indubbiamente una somiglianza a livello fonetico con il termine greco, non sono presenti basi sufficienti a livello semantico che possano supportare questa versione dei fatti.

 

Marco Sergio Melano