CURIOSITA’ NOVARESI 21. LE MASCHERE DEL CARNEVALE DELLA CITTA’

Disegno con Re Biscottino e la Principessa Cunetta

Il Carnevale novarese ha le sue prime maschere nel 1800. Sono maschere di carattere popolaresco. Richiamano la storia della Città e al tempo stesso rappresentano due condizioni di vita diverse. Nel tardo Medioevo a Novara il Paratico o Corporazione dei Calzolai aveva assunto un ruolo di primaria importanza. Grazie alle sue ricchezze e alle sue proprietà era temuto dai governanti comunali e invidiato dal popolo minuto. E’ sicuramente per questo motivo che la prima maschera cittadina è quella di “Sciavatin” (il ciabattino, il calzolaio), detto anche “Patachin”, che rappresenta al tempo stesso il “cittadino”, con le relative caratteristiche, compresi atteggiamenti di superbia e tracotanza, e condizioni di vita. L’altra maschera era “Gugnin”, cioè il paesano che abitava nelle terre bagnate dal torrente Agogna, che bagnava anche la campagna vicino a Novara. Patachin era un termine dispregiativo (indicava una persona falsa e scansafatiche), con cui i contadini chiamavano i cittadini per la loro superba esibizione di abiti eleganti e appariscenti. Lo stesso termine era usato con lo stesso significato anche a Torino. Gugnin, il paesano, era invece l’uomo giusto, che si guadagnava il pane quotidiano con il duro lavoro. Dal contrasto tra i due personaggi nasceva ovviamente la risata. Sciavatin e Gugnin avevano una piccola corte di maschere rionali, tutte riferite al mondo contadino: Burghin del quartiere San Martino, Mursé di Porta Mortara e Bicocca, Ranat di Sant’Agabio e Rimulas di Sant’Andrea. Il Ranat è il cercatore di rane, ora quasi scomparse, ma un tempo numerose nelle risaie novaresi; ‘l Rimulas è il mangiatore di rapanelli (i rimulass); il Mursé è il povero che si accontenta di mangiare tozzi (morsi) di pane. Le due maschere rurali di Sciavatin e Gugnin non hanno però resistito nella Novara industriale della seconda metà del secolo XIX. La Città comincia a trasformarsi e nascono i primi laboratori di pasticceria, come quelli di Gaiani-Grassini e Camporelli. L’ultima apparizione della maschera di Sciavatin avviene nel

Carnevalone in piazza Vittorio Emanuele (oggi piazza Martiri)

1872, ma nello stesso anno viene sostituita da quella di Re Biscottino. Il comitato per le feste carnevalesche aveva infatti voluto organizzare una festa di alto livello, che necessitava ovviamente di adeguati finanziamenti. La Città, evidentemente su richiesta delle ormai importanti pasticcerie, viene ribattezzata Biscottinopoli e viene creata una nuova maschera: Re Biscottino, per valorizzare il biscotto tipico di Novara, che stava avendo un grande successo di mercato. In quell’occasione al Re viene data anche una moglie: Follia. Qualche anno dopo, nel 1885, ricompare vestito come un sovrano del seicento con scettro e corona e con una nuova regina: la Principessa Cunetta (nella foto disegno con Re Biscottino e Cunetta). La Regina è interpretata ancora da un uomo perché così volevano le usanze di quei tempi. La maschera non impersona una giovane donna, ma la realizzazione di un’opera idraulica particolarmente importante per Novara. Il nome Cunetta arriva infatti dal latino “cuniculum”, canale. Il progetto della Cunetta è del 1667 e prevedeva uno scavo intorno a tutta la città per convogliare l’acqua piovana e quella dei vari rigagnoli che raccoglievano i rifiuti. I lavori molto lunghi terminarono nel 1738, con i Savoia. Con la realizzazione di questa opera le acque che prima formavano zone paludose sotto i bastioni, attraverso una rapida pendenza, furono portate nella roggia che venne appunto chiamata Cunetta. Con quest’opera anche l’aria divenne più salutare e diminuirono le epidemie.

Ora qualche notizia sulle origini del biscottino di Novara. Fino alla prima guerra mondiale è continuata a Novara una simpatica e antica tradizione. La prima domenica dopo Pasqua i canonici della cattedrale assieme ai parroci della Città offrivano ai poveri pane di frumento, cioè pane bianco. Le suore invece preparavano per vescovo e prelati un pane speciale, dolce, più piccolo e cotto due volte, quindi biscotto. Le suore interruppero la tradizione con la soppressione dei conventi voluta da Napoleone. Il biscottino divenne però oggetto di produzione e commercio da parte del farmacista-droghiere Prina, che li produsse per malati e convalescenti. Nel 1860 il pasticcere Carlo Grassini cominciò a produrre il biscottino con un nuovo sistema di cottura. L’impasto con lui infatti non veniva posto su una normale teglia, ma sulla cosiddetta “carta paglia”, che dava al biscotto un bordo un po’ scuro e lo rendeva croccante. Nel 1852 aveva iniziato la sua attività a Novara anche Luigi Camporelli, che produceva solo biscottini e li confezionava a due a due. Nel 1937 poi si stabilì in Città Mario Pavesi, che con la sua fabbrica, lanciò in tutto il mondo i suoi “Pavesini”.

Re Biscottino con Cunetta

Il Carnevale di Novara ebbe dei periodi di interruzione: dal 1914 al 1933, dal 1939 al 1954 ed entrò nuovamente in crisi negli anni Settanta del secolo scorso. Ripresa quindi la tradizione, continua tuttora con maschere della Città (una recente foto di Re Biscottino e Regina), ma anche del resto d’Italia e con la partecipazione dei novaresi.

L’edizione 1903 del Carnevale è passata alla storia per la sua magnifica organizzazione e l’enorme partecipazione (nella foto il Carnevalone). Dalla descrizione che ne fa Amleto Rizzi e dalle cronache dei giornali dell’epoca si possono desumere interessanti informazioni sull’evento. Una fiera enologica-gastronomica fu allestita sotto i portici del palazzo del Mercato, con spazi per le attività commerciali attinenti al Carnevale, come coriandoli, stelle filanti, rompiorecchie, frutta, frutta secca e profumi. Il proclama di Re Biscottino III, impersonato da Arturo Merati, occupava intere facciate dei giornali novaresi. Nelle giornate del Carnevale furono organizzati: cortei di vetture a cavalli, automobili, motociclette e biciclette addobbate ed infiorate, getti di fiori, stelle e coriandoli, un importante spettacolo lirico al Coccia, trattenimenti pubblici con una “illuminazione elettrica divina” (per quei tempi), festa dei Bambini al Coccia, grande corteo mascherato, luminarie, fiaccolata e la magnifica pira del Carnevale in piazza Vittorio Emanuele II (oggi piazza Martiri).

Citiamo uno stralcio di un articolo di cronaca del Corriere di Novara del 26 febbario 1903: “Dire che la piazza Vittorio Emanuele per quanto vasta più non capiva la folla rigurgitante, è poco; tutta era stipata alle 21,30 quando il comitato con musiche, fiaccolata vi si recò per l’incendio della grande bottiglia; perfino il monumento, il bronzeo cavallo di re Vittorio rigurgitavano di gente, alla meglio aggrappata avida di assistere all’emozionante spettacolo. E l’orrenda pira non molto tardò; accesa la miccia, tra fuochi di gioia, luce di bengala, lancio di razzi e pioggia d’oro, le fiamme salite dalla base ad avvolgere la colossale bottiglia, lambirono tosto il povero pierot e in breve ora lo distruggevano lasciando solo lo schema della geniale opera di Cantoni, tra… l’allegra commiserazione generale”.

Enzo De Paoli