Contro Facciata e Bussola d’Ingresso

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Contro Facciata e Bussola d’Ingresso

Poiché la richiesta di cappelle o di altari da parte di famiglie o di corporazioni chieresi superava di gran lunga la disponibilità di spazi lungo le due navate a ciò deputate, si era affermata l’usanza di creare altari dovunque, sfruttando ogni parete e ogni colonna. Due di essi, uno della famiglia Osella (dedicato a Sant’ Agata) e uno della corporazione dei Fabbri (dedicato a Sant’Eligio) erano stati addossati perfino alla controfacciata, ai due lati dell’ingresso, con l’inconveniente che colui che vi celebrava la Messa era costretto a volgere le spalle al tabernacolo, cosa della quale allora si avvertiva vivamente l’incongruenza.

Perciò nel 1584 mons. Angelo Peruzzi, vescovo di Sarsina, visitatore apostolico, ordinò che venissero demoliti tutti gli altari situati fuori delle cappelle.

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata

Sulla controfacciata del Duomo, a destra dell’ingresso principale, sono recentemente riapparsi significativi frammenti di un antico affresco i quali, restaurati, si sono rivelati parti di una raffigurazione del martirio di Sant’Agata, che evidentemente era stata eseguita in corrispondenza dell’altare omonimo, di proprietà della famiglia Osella, eliminato per disposizione di mons. Peruzzi.

Al centro vi compare la Santa che, vestita di rosso, viene amputata dei seni da due loschi figuri che brandiscono lunghe tenaglie: questo, infatti, fu il supplizio al quale venne sottoposta. Nel registro superiore, forse eseguiti da una mano diversa, sono allineati tre Santi: Sant’Antonio abate, riconoscibile dal bastone a forma di “tau”; un Santo martire, probabilmente San Giuliano; e un altro personaggio non riconoscibile, forse Santa Basilissa.

Stilisticamente, l’affresco è ancora legato alla pittura quattrocentesca, ma è stato certamente eseguito dopo il 1503: la relazione della visita pastorale di mons. Giovanni Ludovico della Rovere, infatti, avvenuta in quell’anno, non fa parola di un altare di Sant’Agata. Ma nel 1584 ne parla la visita apostolica di mons. Angelo Peruzzi.

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata (particolare)

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata (particolare)

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata (particolare)

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata (particolare)

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata (particolare)

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata (particolare)

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata (particolare)

ANONIMO. Martirio di Sant’Agata (particolare)

Via Crucis. IX staz. Gesù cade lungo la via del Calvario

Via Crucis. IX staz. Gesù cade lungo la via del Calvario

Via Crucis. XIV staz. Il corpo di Gesù deposto nel sepolcro.

Via Crucis. XIV staz. Il corpo di Gesù deposto nel sepolcro.

Originariamente i quattordici quadri della Via Crucis erano distribuiti lungo le pareti delle navate laterali. In seguito vennero collocati nel battistero. Nel 1993, a conclusione degli ultimi restauri di cui quest’ultimo è stato oggetto, vennero ammassati, sette per parte, alle pareti esterne della bussola dell’ingresso, dove si trovano tuttora.

Oreste Santanera giudica i 14 quadri “… assai interessanti, perché di non disprezzabile livello esecutivo e quasi antologia di pitture settecentesche e di primissimo Ottocento…”.

Antonio Bosio condivide l’apprezzamento e aggiunge informazioni sull’autore: “I bei quaddretti delle stazioni della Via Crucis che si vedono il Duomo, furono dipinti da Rocco Comaneddi nel 1810. Altri vogliono che siano opera di Comandù”.

Oreste Santanera è d’accordo su Rocco Comaneddi: “La confusione attributiva è forse più dovuta all’assonanza dei nomi che ad effettiva vicinanza di mano, beninteso in un panorama abbastanza uniforme e non certo costellato di spiccate personalità. Per quanto attualmente giudicabile, parrebbe più probabile il Comaneddi…”. Ma recentemente Claudio Bertolotto si è pronunciato a favore di Giovanni Comandù, perché “… rispetto alla pienezza classica che caratterizza i dipinti del Comaneddi, si notano qui una levità pittorica e una delicatezza di sentimento riscontrabili piuttosto nelle opere del Comandù”.

Quanto alla data di esecuzione, il Bosio ha ragione a collocarla nel 1810. Nel marzo di quell’anno, infatti, il canonico Bologna scrisse all’arcivescovo Giacinto della Torre chiedendogli di autorizzare l’erezione della Via Crucis nella Collegiata poiché i quadri erano “ridotti… a loro perfezione”, cioè ormai pronti. Il 28 marzo l’arcivescovo rispondeva affermativamente, delegando per la benedizione il padre Leandro Teghilli.

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