APPROFONDIMENTO: La sfida normativa del futuro lavorativo dei Riders dopo l’emergenza Covid-19

“Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per la tutela del lavoro al fine di assicurare protezione economica e normativa ad alcune categorie di lavoratori particolarmente deboli” recita la premessa della legge del 2 novembre 2019, n. 128 ma nonostante la nuova legge, a quasi cinque mesi da questa nuova Legge, non c’è stato nessun contatto tra i famosi giganti della “platform economy” e le rappresentanze autonome dei fattorini.

Ad oggi la tutela di questo particolare tipo di lavoro tramite piattaforme digitali si può riassumere in: “livelli minimi di tutela” ovvero: un corrispettivo determinato in base alle consegne effettuate purché in misura non prevalente; un corrispettivo orario riconosciuto purché il lavoratore accetti almeno una chiamata e, grande novità, copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il cosiddetto premio assicurativo INAIL (48,74 euro al giorno in caso di incidente o malattia professionale).

Tutto ciò “al fine di promuovere un’occupazione sicura e dignitosa”, recita sempre la legge, a questa categoria di lavoratori. E’ un peccato che queste protezioni minime risalgano al Novembre del 2019 e sono soltanto una prima formulazione legale dei diritti di questi lavoratori che vagano nelle nostre città da anni, in particolare ora che siamo tutti impossibilitati ad uscire di casa.

In tutta Italia si vedono i segnali di una grave situazione sanitaria che mette a rischio  le vite dei riders stessi ma anche di tutti gli altri: questi  sono lasciati senza guanti o mascherine in un  periodo di boom dell’asporto. “La premessa su cui poggia tutta la gig economy, dagli affitti di Airbnb ai fattorini di Foodora” scrive Riccardo Staglianò nel libro “Lavoretti” è quella che “il lavoratore (freelance) ci mette il lavoro e si accolla i rischi mentre il datore, che non vuole essere chiamato cosí quindi non ci resta che padrone, offre la piattaforma su cui si incontrano domanda e offerta, ricavandone una commissione”.

L’economia “dei lavoretti” ha pensato prima ad espandersi e poi a gestire le questioni legali di sicurezza del lavoro cosicché ad oggi ci ritroviamo con un’importante fetta economica in mano a grandi  corporazioni che gestiscono le loro imprese nel buio mentre migliaia di lavoratori corrono nelle strade delle nostre città esposti ad ogni tipo di rischi. Il 21 Gennaio 2020 la Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte d’appello di Torino, delibera: “I ciclofattorini non sono dipendenti, ma a loro vanno riconosciute alcune condizioni del lavoro subordinato” quindi gli spettano i diritti retributivi previsti dal contratto collettivo nazionale del lavoro della logistica, ma non le norme sul licenziamento, in quanto i rider sono e restano autonomi.

Una zona grigia fra autonomia e subordinazione che restituisce ai lavoratori del settore un po’ di dignità ma poche protezioni e la situazione si è ovviamente esasperata con l’avvento dell’epidemia. Denunciano a proposito i Riders Union Bologna sulla loro pagina Facebook riferendosi ad una diretta Facebook del Presidente del Consiglio che li avrebbe equiparati ad un servizio pubblico essenziale al pari di ospedali e mezzi pubblici: “non va bene che sulla nostra pelle qualcuno si diverta a fare discorsi demenziali elogiando gli “eroi” che continuano a lavorare per far andare avanti il Paese. Non va bene che durante una delle peggiori pandemie degli ultimi cent’anni dobbiamo “scegliere” se compromettere la nostra salute lavorando, ed essere causa di eventuali nuovi contagi, o restare a casa senza avere la possibilità di pagare affitti e bollette”.

Nel dialogo tra le parti è lampante il problema in cui incorrono i riders: questa nuova categoria di lavoratori necessita di una forma di rappresentanza specifica perché ha esigenze fortemente diverse da quelle che abbiamo conosciuto finora e si trova in un paese con sindacati concentrati (federazioni nazionali) ma poco centralizzati che cercano di rappresentare l’intero mondo del lavoro e sono del tutto estranei ai problemi dei riders. Rappresentare delle persone che non hanno un luogo di aggregazione o di riconoscimento reciproco è tentare di rappresentare gli irrapresentabili.

Quindi, con chi si dovrebbe sedere al tavolo delle contrattazioni l’Assodelivery? L’associazione dell’industria del food delivery nazionale (perché loro ne hanno una nazionale) alla quale aderiscono buona parte delle maggiori aziende del settore? I portavoce dei lavoratori non mancano ma spesso sono distribuiti poco uniformemente sul territorio, sono poco concentrati e non coordinati fra di loro così da non riuscire ad avanzare richieste in maniera chiara e univoca.

Il futuro è impossibile da prevedere ma i segni del cambiamento si notano fin da oggi: ciò che sta cambiando è la scala delle priorità della nostra società. La situazione dei riders non è altro che un input che ci parla di di tutte le nuove figure professionali che nasceranno – a fronte di tutte quelle che svaniranno – e che necessiteranno di riconoscimento.

Ciò che deve fare lo Stato è sfruttare l’occasione per creare un quadro normativo per le nuove figure lavorative che gli assicuri nuove garanzie e protezioni contro lo sfruttamento. Il ruolo dello Stato è quello di accompagnare e sostenere il progresso, aprire nuove possibilità e proteggere i lavoratori da sistemi di arricchimento indiscriminato a scapito dei più deboli.

Il vecchio contratto collettivo va trasformato sull’onda nei nuovi trend come: smart working, riduzione dell’inquinamento e meritorietà. Dobbiamo prepararci ad accogliere tutti i cambiamenti che questa crisi ci porterà elevando queste nuove categorie di lavoratori dal mondo sommerso e dell’incertezza verso una vera collocazione normativa .

 

Giuliana Di Dato

 

Questo articolo è stato pubblicato anche sul portale studentesco Westudents con il titolo “RIDERS: La sfida normativa del futuro lavorativo post coronavirus”. [NdR]